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Texas, USA, Viaggi

Keep Austin Weird

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Non riesco a ricordarmi per cosa conoscevo Austin. Qualche cantante country? Impossibile. Qualche telefilm? Mi sa di no perché anche Grey’s anatomy era ambientato a Seattle. Non mi viene in mente ma adesso,  finita un’intera giornata su queste strade, tra questa gente stravagante (o meglio, come piace a loro “weird”) posso avere almeno 10 buoni motivi per consigliarla e soprattutto per tornarci.

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Cosa c’é da vedere? Cerco un po’ online ma i siti dei viaggiatori che danno consigli scarseggiano e decisamente mi serve poco sapere cosa é successo nel 1926 se la mia intenzione é quella di farmi un paio di costine e una birra a un barbecue. Al visitor center mi perdo nelle cavolate texane dello shop ma la signora al banco col suo soave tono di voce e le sue braccia nerborute mi hanno richiamata all’ordine. Ci sono tanti intinerari possibili, walking tour gratuiti e uno strano servizio chiamato “Austin in 90 minutes”, ovviamente a pagamento. Però per chi ha poco tempo e non ha voglia di sbattersi dev’essere molto carino.574584_10151400308988327_667848508_n

Iniziamo dal Campidoglio, un palazzo, stranamente di un colore marroncino fuori, ma dentro ovviamente regnano il bianco delle pareti, adornato dal legno massiccio e il marmo dei pavimenti. Alle pareti i ritratti in pompa magna di tutti i governatori e mi chiedo come far arrivare la mia gomma nell’occhio di Bush. Ma voglio vedere il resto della cittá e non ho intenzione di passare la nottata al fresco. Oltretutto quando siamo arrivati c’era tutto transennato perché qualcuno- ha-scritto-qualcosa sui gradini dell’ingresso e per la prima volta ho visto il nastro giallo della polizia e io tutta gasata non vedevo l’ora di vedermi arrivare Grissom, Orazio e Dexter (per la cronaca é arrivato solo un tipo sfigatino che aveva ben poca voglia di fare foto e prendere impronte di sabato mattina).293212_10151400311258327_1280266667_n
All’interno del palazzo principale della cittá si può anche fare la visita guidata con dei tizi in camicia bianca a maniche corte, cravatta e ciuffo da pettinare saltuariamente con de mani, possibilmente dopo una simpatica battutona. Sono stata 10 minuti a guardarne uno: ci credeva da pazzi! Sembrava stesse raccontando la storia piú interessante mai sentita con l’allegria e la mimica di un cabarettista. Non capivo le battute ma mi faceva ridere. Mi ricordava “troppo frizzante”, la sitcom dentro il telefilm Boris.

Riprendiamo la macchina e decidiamo di fare un giro perlustrativo, partendo dal parco Zilk, consigliato se ci si vuole rilassare sotto a una pianta mangiando panini preparati amorevolmente da una nonna. Famigliole, coppiette. Bambini con palloni. Che bella immagine. Ma non abbiamo tempo, solo una giornata e vogliamo, come al solito, vedere tutto. Giriamo per est Austin ed è stranissimo, sembra una zona messico-spagnola al 100% e ad ogni casa ci sono giochi gonfiabili per bambini, come se ci fosse un asilo ad ogni casa.

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Ora di pranzo, il cibo ovviamente non manca, ma la città offre un dettaglio in più che potrebbe essere sottovalutato, i trucks, i nostri camioncini con piadina e salamella qui sono piccoli angoli di paradiso (poi spiego perchè) dove si puó trovare dal pad thai a cioccolata in tazza ma gelata a specialitá di ogni tipo. Alcuni si spostano, altri sono inchiodati… solo non bisogna farsi ingannare dall’aspetto e dal piatto in cui il cibo viene servito. Cominciamo con un pad thai e un té thailandese a cui faccio scaraventare dentro dalla gentilissima orientale una manciata di bubbles. Siiii! É lui! Il bubble tea thai! Ed é pure ottimo, come il piatto tradizionale, d’altronde.
Incontriamo una libreria che a quanto pare ha vinto negli ultimi anni premi e premi come la migliore di Austin. Nella mia classifica personale una delle migliori mai viste (straspodestata la libreria unicamente di libri di viaggio di Barcellona… Soprattutto per i prezzi  imbarazzantemente alti). Prima di tutto, per chi non è mai stato in una libreria da queste parti, é un’esperienza da fare: ci si può tranquillamente sedere, prendere un cappuccino al bar e mettersi a leggere un libro o una rivista che poi deciderai o meno di comprare. Cosí, senza che nessuno ti consideri, senza qualcuno che ti mette della pressione o ti guardi storto solo perché hai sfogliato o letto piú di mezza pagina. Una coppietta che leggeva insieme seduti su una panchina, un altro ragazzo assopito che ascoltava la musica su una poltrona, un’altra ragazza su uno sgabello che leggeva concentrata e si mangiava le unghie. E i commessi lí davanti, che ridevano e scherzavano. Ho chiesto a un ragazzo un’informazione su Springsteen, abbiamo fatto quattro chiacchiere, mi ha chiesto di scrivergli su un foglio “springsteeniano” e ridendo ripeteva “awesome”. Ed è meglio non fare confronti con certi commessi della Feltrinelli. Siamo rimasti lí dentro un tempo misurabile tra le 2 ore e la bolla spaziotemporale. Forse due giorni. Ho anche fatto amicizia con una signora che mi ha scritto la ricetta dei pancake che si tramanda nella sua famiglia da generazioni. Cosí, per essere gentile. Mi ha lasciato anche la sua mail per mandarle la foto quando avrei provato a fare il dolce. E questi piccoli incontri, queste dolcezze gratuite… Sarà, ma a me fanno credere ancora nelle persone.
Un dettaglio: siamo entrati in libreria e dopo 5 minuti siamo usciti (per poi tornare indietro) perchè su una guida abbiamo avvistato un BBQ straconsigliato, Franklin, una macelleria con griglia. Siamo arrivati alle due ed era chiuso, perchè la carne, lì, va ad esaurimento. Il ragazzo che stava pulendo ci ha espresso il suo “i’m sorry”, ma ci ha detto anche che se fossimo arrivati prima c’era comunque ben poco da fare. Apre alle 11 e la gente era già in coda alle 7:30 del mattina. Focalizziamo la cosa: quanto cavolo dev’essere buona la carne se un mucchio di gente si alza alle 7 di sabato mattina per mettersi in coda ed aspettare le 11 (non apre prima anche se c’è gente) per farsi due costine?!

Ci buttiamo su qualcosa di più messicano, e quindi tacos, visto che io voglio provare qualcosa che non sia di una catena. Cambiamo zona ci dirigiamo da Torchy’s Tacos (south Austin trailer park & eatery 1311 1st street). Sembra assurdo ma le opinioni che ne son venute fuori sono quanto di più agli antipodi si possa immaginare. Prendiamo un tacos con l’avocado fritto, e la mia sensazione in bocca è stata la stessa di quando ingurgito le banane andate a male, solo perchè mia mamma le ha comprate e quindi “adesso le mangi”. Insapore, pastoso, troppi fagioli, l’avocado centrava come cavoli a merenda (anche se a me è capitato di mangiare dell’insalata di cavolo alle 4 del pomeriggio… Ma non faccio testo). Abbandonato (io). Per lui è stato il taco del secolo, creativo equilibrato, abbondante, buono. Bah.
Riproviamo con un democrat, con carne e saporino di bacon come piace a me. Mi incazzo. Non mi piace. Ma proprio zero. Per lui é il secondo taco piú buono del mondo. Glielo lascio e cerco di non incazzarmi troppo sperando nel prossimo truck.
Quello che segue vorrei che fosse pubblicato su tutti i giornali turistici del pianeta, che dove e panorama travel mettessero sti tizi in copertina, e allo stesso tempo vorrei che non fosse violata l’autenticitá del posto perché il sovraffollamento di solito devasta il piccolo. Insomma si, rivelazione.
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216078_10151400323603327_1992960190_nSu un giornalino informativo della cittá si parlava di questi trucks, e in particolare dell’Est side King, un camioncino “fermo”, piazzato nel retro di un locale, in un singolare cortile interno, con tavolacci di legno e un palchetto. Il locale si chiama Liberty e dubito che una singola persona ci sia entrata per caso. Il tipo che ci chiede l’ID é una specie di armadio 4 stagioni ma quando parla é piú vicino al tenerone che a Stallone. C’é una specie di raduno si lesbiche che professano il loro orgoglio con magliette giallo fosforescente. Scheggiamo perplessi sul retro. Menu appeso al muro, scegliamo quello consigliato e cioé il Thai chicken kara-agé. E qui, come poche volte succede, mi si é aperto il paradiso davanti agli occhi e il cibo ingerito mi ha catapultata istantaneamente al settimo cielo. Un equilibrio perfetto tra il pollo leggermemte croccante, il pepe coriandolo, il peperone, la menta, il basilico, e il tutto condito con una salsa delicatamente saporita che ricordava vagamente il sapore della salsa teriyaki. Era in uno scodellino di cartone. Uno dei piatti migliori che abbia mai mangiato in vita mia era servito in un pezzo di cartone di un livello cosí basso che neanche alla festa dell’unità di Sissa ce li hanno cosí brutti. E quello che dico non é assolutamente un’esagerazione, non ero nè ubriaca nè con la bocca intorpidita da altri sapori. Quel piatto era a dir poco divino.

Voglio vedere lo chef. Guardo dentro il casottino e ai fuochi c’era un tipo in canottiera, bandana in testa enorme barba rossa e bragoni larghi che “ballava” a suon di brutal col suo compare (il ragazzo che prende gli ordini), dai capelli color carota legati con due treccine. Ci sono rimasta di ghiaccio. Quanto a volta l’apparenza  inganna. Prendiamo subito qualcos’altro il Poor qui’s buns suggerito dalla guida ci sembra la scelta migliore. Cosa sono? Quei morbidi panini cotti a vapore, che in oriente servono o ripieni di carne o di  gelatine dolci, tagliati a metá e con dentro la miglior costina (ovviamente  senz’osso) che abbia mai provato speziata con una salsa agrodolce mai provata (la lista degli ingredienti cita Hoisin sauce e kimchee, ma é forse il mix tra i due che rende glorioso questo snack).
Mi documento su internet e questi due nerd metallari hanno fatto scuola da uchii, un celebre ristorante da 80$ a persona e poi hanno scelto questa strada, spero per la vocazione di far provare a tutti gli esseri umani, anche i piú squattrinati, cosa vuol dire mangiare ad un altro livello. Due ragazze dietro di noi hanno preso 4 piatti ed erano la gioia fatta a persona. Probabilmente erano di casa.
Io amo mangiare e sono anche una cultrice del junk food, ma quando  si fa sul serio tiro fuori il palato delle grandi occasioni e divento severa e categorica. Non sono un gourmet, ma ho avuto la fortuna di affinare il gusto grazie a mani di chef esperti. E non esagero se dico che per quel piatto di pollo, se fosse stato servito su un piatto di porcellana, chiunque avrebbe pagato anche 30€.
Quel posto é l’estasi, ed é piazzato nel cortile interno di un locale discutibile. Ho detto tutto.
Torniamo in centro, dove si stringono locali in cui fanno musica dal vivo, pub, un Coyote Ugly e ristoranti di qualsiasi livello e di qualsiasi provenienza.
Come attrazione si possono anche vedere i pipistrelli che escono da sotto ad un ponte, ma era in arrivo un temporale e credo non avessero nessuna voglia di uscire.305206_10151400331063327_2059672445_n

Giriamo a caso per il centro e c’é musica, c’è vita ad ogni angolo.
Mi sono innamorata di un negozio che vendeva gadget e qualsiasi cazzata musicale (volevo comprare la maglietta con la foto di Springsteen sulla copertina di darkness ma c’erano solo due taglie, una grande da uomo che su di me sembrava un pigiama, e una xs che era chiaramente troppo stretta e causa tette la testa del povero Bruce era deformata come quella di un telebubbies), commesso ipergentile, merce troppo figa.

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Austin é bella da girare, divertente da visitare, non strapiena di antichità e musei ma é sempre una big city, però é diversa, ti va venire voglia di strapparti di dosso i vestiti da turista per salire sulla giostra e viverla. Non si sa mai che troviamo un biglietto economico per marzo…

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1 Comment

  • Reply Boyhood, una storia americana |

    […] i protagonisti camminare per le strade di Austin, in angoli di città che mi ricordo bene, dove ho consumato le mie scarpe… Mi ha fatta sobbalzare […]

    10 Novembre 2014 at 10:25
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