Lasciare Beijing e trovarsi a Tokyo nello stesso giorno è un trauma. Al contrario, positivo, ma è davvero un trauma. Sembra di essere nello stesso film ma col vantaggio di essere trasparenti.
Aeroporto di Narita, ad ogni angolo gente sorridente ci accoglie con khonichiwa e un tono di voce gentile e melodico. I bagagli arrivano in un attimo e le indicazioni ci portano rapidamente a cambiare il ticket che ci fa avere in mano il Japan rail pass (che va ordinato e pagato da casa), al cambiovaluta un sorriso con dietro una ragazza mi chiede se va bene il cambio e se puó procedere con l’operazione. È un sogno. Mi sembra incredibile… È un sogno! Ci sono distributori di bevande calde e fredde ad ogni angolo e in attesa di salire sul treno che ci porterà in città noto la donna delle pulizie che oltre a tirare a lucido un treno già pulito sta girando tutti i sedili nel senso di marcia e comincio a credere sul serio a tutto quello che mia sorella e il mio fratello adottivo mi hanno raccontato… È tutto così… Ordinato! Sembra di essere dentro il Truman show. Sarà il salto dalla Cina (che comunque nelle grandi città è incredibilmente efficiente e organizzata alla perfezione, nulla da contestare, anzi…) ma è lo stravolgimento della relazione con i locali che mi ha lasciata veramente a bocca aperta. La ragazza che vendeva snacks sul treno era così allegra e carina che mi ha quasi commossa. Il bagno del treno è supertecnologico e grande come un bilocale a Milano, pulito, si puó anche disinfettare la tazza con dei fazzolettini antibatterici e io, nella gioia del momento mi ci son pulita anche le mani. Il treno ferma a Shinjuku, in una stazione in cui il passaggio medio giornaliero di persone è all’incirca tre milioni. Tre milioni?! Appena scesi capisco cosa significa. Ci sono circa trenta uscite, un centro commerciale e indicazioni più o meno che indicano “per di qua” o “giù di là” e se fosse per me sarei ancora dispersa per la stazione. Non morta di fame visto che ad ogni metro c’è un chiosco, una caffetteria o un venditore di bento box, ma di disperazione si.
Dopo averne sbagliate un paio troviamo la via per l’ostello/albergo/appartamento e appena entrati mi chiedo se è uno scherzo. È tutto in miniatura! In circa 2 metri di larghezza per 3 metri di lunghezza sono riusciti a incastrarci: un letto (corto), un tavolino con sedia (per scivere piccoli appunti su piccoli foglietti visto lo spazio libero), un televisore, una credenza con servizio da due (due ciotole, due tazze, due piatti, due piattini, un pentolino, un forchettone e una specie di raccogli-pappa dalla padella), un lavello da cucina, una piastra da cucina, un aspirapolvere (sottile), un box bagno con vasca per nani inclusa, lavandino e tutto ció che puó servire per l’igiene personale (inclusi due asciugamani piccoli, due grandi e due kimono da camera che sembravano due camicioni da ospedale americano o da punizione in manicomio). Fantastico, tutto in miniatura! Il mio zaino ostruisce il passaggio e per sedermi sulla tazza devo mettere le gambe di lato. Mi vien solo da ridere peró.
Molliamo tutto in un attimo e iniziamo a rincorrere i ciliegi: tappa numero uno, il parco Yoyogi-Kōen. Parco, insomma. 53 ettari abbondanti di bosco direi che é piú di un parco.
Prima di tutto appena fuori dalla stazione della metro troviamo dei ragazzi che fanno cosplay, sembra di essere catapultati in uno strano cartone animato e invece dobbiamo solo farci l’abitudine. Incontrare ragazze che sembrano barbie, gheishe o persone vestite in abiti tradizionali qui é del tutto normale… Ed é fantastico! Il parco é piacevole, ben curato, pieno di gente che sembra serena, felice e gioiosa mentre beve un matcha o si gusta un cono gelato da un milione di dollari. Tranquillo come una reale oasi di pace. Ma io voglio vedere la Tokyo tanto immaginata, quella fatta di infiniti grattacieli, di luci e di futuro prossimo. Shibuya. Ecco il primo impatto con una delle cittá piú famose del mondo.
Il Shibuya crossing, dove si incrociano 4 strade, centri commerciali, locali, luci, giovani vestiti super alla moda ecommesse che sembrano appena uscite da un catalogo e chi più ne ha più ne metta. Ok, adesso ci sono. Adesso mi rendo conto che sono a Tokyo! All’uscita della metro si vede subito la statua di Hachicō, una statua eretta a un piccolo cane di razza akita che per 11 anni é andato in quel posto ad aspettare il padrone morto. Ehm… Sono cinica se dico che mi sembra eccessivo? Dai, e allora i cani per ciechi, i cani antidroga e quelli che salvano le persone? Non importa perché proprio davanti ci sono 5 ragazze abbigliate in abiti tradizionali, gheishe provette che dolcemente e con una gentilezza innata sorridono alla gente che le fotografa. Un sogno.
Persone che non ti mandano via in malo modo come se volessi rubargli l’anima (in Cina é capitato che a Shanghai ci fossimo fermati davanti a una bancarella di spiedini e la proprietaria ha cominciato a urlarci contro perché non voleva rubassimo il sapore dei suoi spedini fotografandoli credo…o il segreto dell’averli infilzati tutti uguali! Bah…), soggetti bellissimi che ti fissano e si mettono in posa. Come mi piace il Giappone! Il primo trauma arriva però dai prezzi, inaccessibili. Mangiare sushi a Tokyo (e soprattutto a Shibuya) significa piú o meno accendere un mutuo trentennale. Un piattino da 10 pezzi circa si aggira intorno ai 30 euro e in un attimo ho visto sparire tutto quello che mi ero immaginata: montagne di sushi buonissimo e low cost, preparato da qualche simpatico maestro con la faccia seria e antica del maestro Miaji e la simpatia dello zio Marrabbio, sushi kaiten con specialitá locali mai provate e… Ok, dovrei piantarla di farmi dei viaggi mentali del genere. L’unico modo per calmare il nostro malumore (lo ammetto, essermi resa conto che é molto piú cara di quanto pensassi mi ha inversato parecchio)? Cibo indiano! Ostacolo numero uno: in Giappone in tantissimi locali (soprattutto in catene low cost) per ordinare bisogna riuscire a decifrare il distributore di ordini. Spiegazione: é una specie di distributore a pulsanti in cui bisogna inserire i soldi (ovvio…), premere il pulsante del cibo desiderato (quando ti va di lusso ci sono le fotografie… Ma spesso ci sono solo dei gentili giapponesi che premono per te il pulsante della cosa che tu, affamato, gli indichi col dito), esce un talloncino doppio che va consegnato alla signora al bancone (di regola sono gentili donnine dal fazzoletto in testa e sguardo amorevole… A parte l’indiano che aveva dei bei baffoni) che in due minuti netti ti piazza il cibo davanti. Primo cibo mangiato in Giappone? Un pollo tandoori.
Giriamo senza meta tra le viette esageratamente rimpinzate di scritte al neon, luci e lampeggianti ed é davvero difficile spiegare la sensazione che si prova la prima volta a Tokyo: si viene bombardati da stimoli di diverso tipo ad ogni passo. Cibo ad ogni passo e quasi sempre su almeno 5 livelli, distributori, macchine fotografiche istantanee che elaborano le foto e ti fanno sembrare una bambola dagli occhi vitrei, luci, volantini, sale da pachinco (una specie di flipper in cui si puó solo controllare la velocità con cui lanci la pallina, poi a seconda di dove va a finire vinci o meno… È un supermangiasoldi per cui i giapponesi sono totalmente pazzi e dipendenti) con la musica da discoteca sparata a un volume folle, ragazze vestite da cartoni animati che distribuiscono volantini, sushibar, birra ovunque (a prezzi proibitivi), colletti bianchi che ricoprono ogni centimetro calpestabile, centri commerciali a 15 piani dove scambi i manichini per commesse e viceversa, luci, luci, cibo, pachinco, gente, pachinco, bar… Questa é Tokyo.
Questa, perlomeno é Shibuya. Ci siamo infilati in uno strano centro commerciale che sembrava un Brico ma di alto livello e sulle scale, ad ogni gradino c’erano scritte le calorie bruciate ad ogni step. Curioso, carino. Se quello non fosse stato il primo passo per rendersi conto di quanto i giapponesi siano fissati con le calorie. Sono scritte OVUNQUE. Sul menu al ristorante, sulle confezioni di brioche, tortine, salatini, snack di riso ripieni. Ovunque scritte davanti, in grande. Ovviamente me ne sono accorta dopo essermi innamorata di una tortina che sembra un cheese cake ma cotta, morbida e al sapore di vaniglia. 588 fottutissime calorie. Grazie. Evviva i sensi di colpa ammazza animo. Un po’ con la coda tra le gambe, col terrore che ci aspettassero 15 giorni di zuppe istantanee del 7eleven e cracker di riso siamo tornati nell’aparthotel a farci un bel bagno.
Cioè, incastrarci nella vasca da bagno. Sto giro sono davvero lontana da casa.
6 Comments
Nuuuuoooooo non puoi mangiare cibo indiano in GIAPPONE!!!! Sacrilegio… i kappa ti verranno a cercare quando torni a casa!!!!!!
22 Aprile 2012 at 11:40tranquillo che mi sono LARGAMENTE rifatta..eheheh 🙂
25 Aprile 2012 at 8:59Sono appena tornato da Tokyo dove ho vissuto per due settimane proprio a Shibuya…leggere mi mette nostalgia. Trovo Tokyo la città più straordinaria al mondo e sogno di andarci a vivere.
Qui se vi fa piacere un pò di foto del mio viaggio!
http://www.pdf34.wordpress.com
…e voi postatene di nuove al più presto!!!
2 Maggio 2012 at 21:20Le foto sono bellissime! Complimenti..! Anche io penso che Tokyo sia splendida e una città futuristica…fruibile…ma carissima! Ho adorato tutto il Giappone…Kyoto, Kobe,Nara…come si fa a tornare in Italia dove la media dei ritardi di qualsiasi cosa è 50 minuti!?
3 Maggio 2012 at 8:2830 euro per 10 nighiri di sushi? Mi sa che sei andata nel ristorante più costoso di Tokyo, visto che normalmente un piatto del genere non ti costa più di 1000-1500 yen, cioè non più di 15 euro.
7 Settembre 2015 at 0:24Nel 2012 con lo yen alle stelle il prezzo era quello. Decisamente “non il ristorante più costoso di Tokyo” ma i semplici ristorantini vicino al mercato del pesce.
7 Settembre 2015 at 12:19Altrimenti avrei passato il viaggio a ingozzarmi di sushi.