Diverse prospettive, diversi punti di vista: quando giocavo a basket ero “nella media”, non altissima ma neanche bassa. In Giappone sono una specie di Polifemo. Non ne parliamo poi di chi è alto quasi 1,90. Con gli occhi azzurri. Per la cultura giapponese il mio lui è una specie di gigante malefico (capelli chiari e occhi azzurri per loro sono simboli del male). Quando ti accorgi di essere troppo grande? Quando sei più alto di una porta. Molto più alto.
Ad Osaka decidiamo di provare un’esperienza sul letto alla giapponese, un bel futon, adagiato sul tatami in una stanza di 4 metri quadrati ad altezza giapponese. Sdraiati non è male però.
La giornata a Osaka è uggiosa e Kobe è troppo vicina per non andarci; molliamo tutto al tipo della reception (che mi sembra più pachistano che giapponese) e con il trenino della JR in poco tempo siamo a Kobe per mangiare quella che è definita la miglior carne del mondo, marmorizzata, un manzo che equilibra la parte magra e la parte grassa, la cui leggenda vuole venga massaggiato con la birra nell’ultimo periodo della sua vita. Leggenda, verità, per me possono fargli anche coccoline e grattini, basta che non mi facciano conoscere quello che poi diventerà bistecca sul mio piatto. Il ristorante che abbiamo scelto per spendere una vagonata di soldi in carne è il migliore segnalato tra diversi siti, tra cui tripadvisor, e si trova all’interno di un centro commerciale piuttosto chiccoso (a parte per le sculture luminose a forma di pinguino all’ingresso, con neve e orsetti: mi sa che non hanno mai sentito il proverbio “l’Epifania tutte le feste si porta via”… La roba di Natale va smontata!), e si chiama Wakkoqu, Shinkobe. Introvabile.
Al terzo piano ci sono diversi ristoranti e con le scritte solo in giapponese. Eddai… Bisogna ovviamente chiedere (poi ti accorgi anche che in carattere minuscolo c’è scritto anche in inglese) per trovarlo (è il ristorante molto stiloso che si trova di fronte agli ascensori, molto buio e riservato l’ingresso con una pupitre enorme sulla parete). All’interno diversi tavoli, davanti all’incandescente piastra su cui uno chef personale cuoce a piccoli pezzetti la meravigliosa carne accompagnata da “armoniche” verdure e salsine. Il mio consiglio è: se viaggiate low cost e siete in Giappone, fate la fame (o mangiate zuppe istantanee e pane del 7eleven) un paio di giorni e concedetevi di spendere 50 euro per questo paradiso dell’anima e della pancia. Merita. Ma sul serio.
Commossi dal pranzo e con la pancia piena siamo andati a fare un giretto fuori programma per Kobe e… rivelazione! Cavoli, è bellissima!! Ha uno stile particolare perchè sembra che abbiano preso casette british di fine ‘800 e le abbiano piazzate in qualche paesino sperduto della Provenza e hanno spostato tutto in Giappone. Ben curata, attenta ai dettagli (anche Starbucks era dentro una villa old style!), piccole piazzette in cui negozi stracolmi ti invitano a sputtanare (si, scusate ma non c’è un altro termine) soldi in foulard, scatole o cartine assorbenti per la pelle grassa meravigliosamente confezionate dentro pacchetti di carta riciclata a forma di elefante (nonostante la mia pelle sia secca la commessa gentilissima mi ha quasi convinta).
E’ tutto poetico, soave. La gente si accalca in una piazzetta in cui sta suonando la boy band locale, le ragazzine impazziscono (in stile japan ovviamente, con un pacato entusiasmo) e una p.r. mi invita con una brochure piazzata in mano a seguirli in tournée. Sembra tutto finto, plastico, bellissimo. Ed è tutto vero. Kobe è una cittadina poco frequentata dai turisti stranieri, e molto amata dai giapponesi (come sottolinea la guida…”nessun sito è imperdibile”, anche grazie a questo suggerimento era stata depennata dal programma… per fortuna il richiamo del cibo ci ha fatto fare una deviazione) ma è davvero imperdibile. All’ufficio turistico non parlano praticamente inglese, ma sono così gentili che si fanno capire. Effettivamente a Kobe non c’è un tubo di importante da vedere ma è davvero piacevole. Ok, è chiaro che mi sono innamorata. La massima attrazione è visitare le case antiche, entrare, fare “oooohhh”, pagare 500 yen e uscire. E ce lo dice chi lì ci vive. Si, perchè il pomeriggio l’abbiamo passato con lo zio di un caro amico (Caba, i love you e i tuoi parenti sparpagliati in terra straniera) che da 35 anni vive a Kobe, fa il ristoratore (no, no e no, non è uno di quelli che fa roba per stranieri, non fa pastasciutta con la pummarola ‘ncoppa, non fa pizza e fa tutto a mano) e non ha perso l’ospitalità italiana. E la torta alle noci è da perdere la testa. Sentire i racconti, le avventure della sua vita, storie di thailandia, di fughe a Londra, di ricostruzione dopo quel terremoto di Kobe in cui ha perso tutto. Scivolano le ore e noi siamo lì, ad ascoltarlo. Rido guardando la foto di mia sorella, il nipote di Fausto e il mio fratello adottivo nella foto della locandina fuori dal locale e penso ancora di più che gli italiani all’estero sono proprio un’altra cosa.
Non ci riesco ad andar via, é troppo bella. Un ristorante con un mulino fuori, bakery che mi stordiscono con i loro profumi, il sole… Sì, se dovessi vivere in Giappone sceglierei Kobe. O Kyoto (arrivo anche lí!).
Torniamo a Osaka, con il gusto di una giornata stupenda ancora in bocca, che sulla via del ritorno diventa vagamente amaro. L’unica cosa che mi può consolare é un bel bagno caldo e la fortuna vuole che il nostro hotel Japan style sia proprio davanti allo spaworld, l’Onsen (bagno pubblico/spa) piú grande del Giappone (e del mondo, secondo alcuni). Compriamo i biglietti in hotel perché costa molto meno e… Surprise! Scritto grande e in caratteri cubitali quello che speravo di evitare: “vietato l’ingresso ai tatuati”, e se non ricordo male qualcosa legato alla criminalitá organizzata. Si, perché per i giapponesi chiunque sia tatuato é un potenziale membro della Yakuza (la spietata mafia organizzata giapponese) e quindi… Gentaccia da evitare.
E così me ne resto in camera, a scrivere e a pensare sdraiata su un tatami dopo aver girovagato tra i negozietti della zona…io volevo fare il bagno!
Questa storia ve la racconta chi c’è stato..
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