Nel mio immaginario, nello schedario dei “secondo me com’è”, sotto la voce “New Mexico” c’era solo una cartella vuota, un sombrero, due suonatori mariachi e un enorme punto interrogativo. Niente suonatori, nessun sombrero, solo un’alta concentrazione di gente che parla spagnolo e un’aria di storia che, beh, non è facilissima da trovare in giro per gli States. Non sono messicana, ho solo un 50% di sangue spagnolo, ma questo strano stato che confina con il Messico, quello vero, mi ha fatto sentire vagamente a casa. Forse no, ecco, non a casa, ma (usando un termine molto americano) “comfort”, nel senso che intendono loro di “comfort food”, tradizione con una punta di nostalgia. O forse neanche questo?
Sensazioni miste, ricordi a cinque sensi, quella strana sensazione di “hei, ma siamo davvero negli USA?”, equilibri strani in convivenze pacifiche. Benvewelcome in New Mexico!
Come prima tappa abbiamo scelto Gallup,poco oltre confine, dal passato glorioso, tappa voluta solo per l’economico motel, è una strana e curiosa rivelazione. E’ spesso chiamata “Indian Capital of the worl”, essendo posizionata nel cuore delle terre dei nativi americani (il termine “indiani” a quanto pare ha un non so che di offensivo, e mi fa sempre venire in mente che adesso siamo costretti a chiamare gli spazzini “operatori ecologici”)… ma è così americana! Nonostante l’invasione di negozietti di chincaglieria navajo , Gallup é celebre soprattutto perché era una delle tappe della Route 66, e quindi, tutto é a tema: bar, motel, ristoranti, distriburori di benzina: tutto chiaramente marchiato con lo storico logo. Si sa, il marketing… Grandi strade a griglia, locali old style, il teatro… E tanta di quella roba vintage (o solo vecchia?) da farmi dare i numeri. Dedichiamo una buona mezz’ora ad una confusionaria libreria che, oltre ai libri, vende anche giornali usati e chicche come dei National Geographics degli anni ’50. Se fosse solo per me (e se non ci fosse un intero stato da vedere) lascerei scivolare le ore tra pagine ingiallite e Rolling Stones degli anni ’70 e ’80 su cui Prince e Freddy Mercury dettavano legge in fatto di moda.
É un centro davvero carino, e dietro la patina anni ’50 é anche un centro culturale piuttosto animato. Bisogna però avere tempo per andarci, a teatro, e noi come sempre, ne abbiamo ben poco.
La giornata e peró piuttosto lunga e dobbiamo salutare Gallup , non prima di aver visto El Rancho (un albergo storico molto molto messicano dove alloggiavano grandi nomi come Kathrine Hepburn, Humphrey Bogart o John Wayne) ed aver fatto benzina dall’amico israeliano da cui avevo preso il caffè della colazione che nuovamente si prodig in informazioni e mappe disegnate su foglietti. Si aggiungono un tizio in canottiera e berretto, e un simil indiano e tutti a dire la loro, consigliandomi anche con calorose pacche sulle spalle. Mi veniva da ridere, sembrava di essere in un telefilm dove Bob e Joe vanno da Moe a discutere sempre della stessa partita di baseball del ’76.
In macchina. Again.
Lì vicino c’è uno strano e poco conosciuto parco nazionale, el Malpais, dotato di un’ insolita distesa di lava. Non c’era un’anima. Nessuno. Non una macchina, una bici, una persona. Solo un grande ottimismo, visto l’enorme parcheggio per bus e auto. Entiamo nel visitor center e ci accoglie un ragazzo che sembra anche un po’spaventato, oltre che perplesso nel vederci lì. Volevo dargli un abbraccio o comprargli un libro per movimentargli l’infinita rottura di palle di farsi 7 ore là dentro. Wikipedia sicuramente mi può aiutare a renderlo migliore.
Percorriamo pezzetti di Route 66, tra paesini fantasma e cittadine che lo sembrano, ma la cosa più emozionante che capita è regalare un sacchetto di pretzel a un barbone affamato a cui avevo chiesto un’informazione e scoprire che in un negozio di elettronica ci lavorava una ragazza indonesiana. Ammettiamolo, il suo fascino non è la vita sfrenata.
Ci dirigiamo verso Albuquerque, la capitale, e dopo aver mollato i bagagli al motel, senza aver messo nulla sotto i denti per tutto il giorno, perché non farsi un paio di costine e una birra come merenda? Andiamo in un posto vivamente consigliato da chiuque sia passato per la capitale: Rudy’s. Prima di tutto l’ambientazione: da battaglia, con tavolate e bottiglie di salse sui tavoli. Come piace a me. Menú sul muro e nessun cameriere. Le costine e il brisket te le servano dentro della carta da macellaio e i contorni te li prendi da solo dal frigorifero. É chiaro che investono tutto sulla qualitá della carne e non sul servizio (anche se i ragazzi al banco sono simpatici e gentilissimi), perché le costine rasentavano davvero il divino.
Nessun cameriere, ma c’era un cartello sul muro che recitava piú o meno cosí “qui non c’é tua mamma quindi pulisci la tua roba”. Mi è venuto da ridere, e ho tolto i miei resti ben volentieri, se è quello che si deve fare per gustarsi quella carne che sta lottando per il titolo della migliore mai mangiata. Con la pancia piena ci dirigiamo verso il centro, dopo una tappa in una delle farmacie della catena Walgreens. Lo ammetto, mi sono divertita anche lì, anche perchè quel posto stravolge totalmente il mio concetto di farmacia, in cui le vecchiette chiedono lassativi raccontando per filo e per segno i dettagli della loro ostruzione intestinale a indisponenti farmaciste dietro alti banconi di legno. Qui c’è un angolo dove si chiedono i farmaci con ricetta, il resto ha tutto l’aspetto di un coloratissimo supermercato, dove puoi trovare qualsiasi stupidata da magiare, e medicine di ogni forma e colore.Da colliri a antiallergici a tampax di nuova generazione a auricolari a forma di maiale fatto a metà. Si, decisamente cose che da noi non si trovano…
Il clima era perfetto, e si mescolava bene con quest’aria strana che si respira nel centro città. In questo antico insediamento indiano, proprio nel cuore della Old Town si trova la Plaza, su cui si affacciano negozi, localini e una strana chiesa, San Felipe de Neri Curch, il primo edificio della città. Si potrebbe visitare una quantità esagerata di musei, ma ammettiamolo, stimolano in me l0 stesso interesse dei documentari sulla riproduzione delle cavallette. Turquoise museum (affascinanti esposizioni di turchese… per una che detesta i gioielli è fantastico!), American Rattlesnake museum (una grandiosa e vasta collezione di serpenti a sonagli…ma anche no, grazie), Petroglyph National Monument (disegni sui muri…mani, piedi, che gioia): Albuquerque mi sembra più un posto in cui camminare stancamente e godersi l’arietta divina che è solo la ciliegina sulla torta in un clima di tepore divino.
La si può girare, così, senza fretta, tra una salsa al peperoncino e una birra fresca. Non credo che qualcuno avrà da dire se vi addormentate seduti sul loro muretto. A me è piaciuta, come una torta fatta in casa, sa di genuino, nonostante i messicani (ce ne sono tanti… ma tanti) confondano un po’ le idee. Bella.
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