Memphis e Elvis. Memphis È Elvis.
Se penso un’immagine da collegare alla città mi viene in mente un menu di un vecchio diner, dove i piatti sono quelli di una volta, che fanno rifanno e strafanno: un menu strapieno di voci, impiastricciato di ditate di unto, in un locale dove gli avventori prendono sempre solo tre o quattro cose. Eppure Memphis mi è piaciuta. Mi ha lasciato strane sensazioni addosso. Mi fa sorridere ma forse era l’odore della città e il suo colore che mi ha lasciato più il segno. Memphis è in Tennessee, anche se il Tennessee non è solo Memphis o pubblicità di vecchi che si dondolano sorseggiando whiskey (anche se conosco un paio di persone che credono che sia la marca del Jack Daniel’s), fried chicken, cornbread e imitatori di Elvis. Cioè, anche.
E’ città di musica, incubatrice di musicisti, sogno ad occhi aperti per chitarristi in erba visto che si può visitare la fabbrica delle Gibson (per i profani: sono le chitarre “rivali” della Fender, della Ibanez, sono la marca di chitarra che usa James Hetfield dei Metallica! Chitarre, insomma), luogo di perdizione e redenzione visto che ci si può far fotografare davanti a un Coyote Ugly in Beale Street, vedere una partita dell’NBA dei Grizzlies e assistere a una messa cantata celebrata da un nome anonimo come Al Green o mangiare un pollo fritto da 10 e lode in una periferia un po’ sgangherata della città. Sto facendo casino, sto pensando a Memphis e quello che esce è questo. Un minestrone carico e piccante. Si può fare di tutto in città, è anche di più ma Memphis sarà sempre solo e sinonimo di una cosa. Memphis è Solo Elvis.
Prima di parlare di Graceland una piccola panoramica. Cose da fare/fatte/non fatte in città:
1 – Cercare Gus’s Famous Fried Cicken, aspettare 50 minuti buoni per farsi una dose di ottimo colesterolo in vena. Fatto. Il locale non accetta prenotazioni ed è perennemente pieno e strapieno (anche di famiglie organizzate con la stessa maglietta… bah, americani!), ma c’è un buon turnover di gente, i camerieri sono gentili in maniera quasi disarmante. I fried green tomatoes sono divini. A dir poco. Prezzi bassi, cibo buono (se non siete vegetariani o a dieta).
2 – Farsi un cocktail sparato in bocca con una siringa da un mignottone in mutande lungo Beale street. Non fatto, ma visto. L’ultima moda da quelle parti è, evidentemente, caratterizzata da queste siringone di plastica riempite con vodka o similari possibilmente dai colori sgargianti schizzato in bocca. Con lo stile che mi caratterizza a volte sarei riuscita a strozzarmi. E poi, è chiaramente una cosa per soli uomini.
3 – Entrare in Coyote Ugly. Non fatto ma… allora, parliamone. Io ho adorato il film, l’idea è veramente forte, i locali (è una catena) arredati in stile saloon, la musica buona. Io sono una femmina, ma lo noto che le ragazze sono un po’ chiattarelle e bruttarelle. Eddai su… almeno fategli fare 4 addominali!
4 – Andare a cercare Al Green che dice messa… fatto! Purtroppo il volantino diceva avrebbe tenuto messa il pomeriggio, ma noi dovevamo dirigerci verso Nashville e quindi, buca. Purtroppo. Ci siamo goduti comunque 10 minuti di cori e messa in puro black style, con capellone che agitavano chiome, mani e sederoni gridando “alleluja!”… era il momento delle offerte, il prete chiedeva ai presenti di dire al microfono da dove venivano, e ad ogni stato, città o paese era un tripudio di applausi, alleluja, yeee e urli vari. Se la messa fosse così ci andrei anche io. Esci che ti senti bene, nell’anima.
5 – Fermarsi finalmente in una Waffle House. Cos’è Waffle House? E’ una catena di fast food old style, con le scritte gialle e piuttosto brutte. Da Waffle House ti danno coca-cola vera, bacon vero, ketchup vero e hamburger veri. Comfort food.
La mia esperienza è stata la seguente.
Siamo entrati e ci siamo accorti che di waffle, beh, non ne facevamo molti o non ce n’erano nei piatti, c’erano zuppe ENORMI, hamburger grossi, omelette molto molto gialle e due tizi dietro il bancone che litigavano di brutto. Il nostro cameriere balbettava ed era chiaramente alle prime armi e con una chiara compulsione per il pulsante versa coca-cola nei bicchieri. Un’esperienza quantomeno insolita. Ci siamo nutriti silenziosamente mentre i due continuavano a litigare (due hamburger, il mio ovviamente con il perenne bacon) e poi abbiamo ordinato un waffle alle noci pecan. Buono da morire perchè le noci erano a pezzi nell’impasto. La mia seconda esperienza con Waffle House è stata solo virtuale, visitando il sito. E’ fantastico. E’ come se fosse uscito direttamente dagli anni ’80, i proprietari della baracca sono due vecchi arzilli, le foto dell’inaugurazione del museo di Waffle House sono paragonabili a “uno sguardo sull’ospizio”, il merchandising trash come piace a me. Se non esistesse Cracker Barrel questa sarebbe senza ombra di dubbio la mia catena di fast food preferita. A parte gli scherzi, il cibo è molto buono. Ho ripetuto abbastanza volte Waffle House da farvi venir voglia? Comunque io amo quei due vecchietti, dal profondo.
6 – Entrare in un negozio di souvenir brutti. Ovviamente, fatto. Fatto fatto strafatto e rifatto. Chincaglieria a go-go, il padrone di un negozio mi ha pure detto che sono bella anche se non ho comprato nulla. E son soddisfazioni.
7 – Essersi fermati ad ascoltare un predicatore e aver accettato un fumetto cristianissimo, fatto. Si perchè nel bel mezzo di Beale Street, zona fulcro del divertimento della città, dove vieni perquisito per entrare (si, all’inizio della strada la polizia ti chiede se hai armi, se hai più di 21 anni e ti impone di mostrare i documenti, altrimenti non si può proprio entrare o transitare nella zona) e luogo in cui la gente passa il tempo infilandosi le cannucce nel naso completamente sbronza, proprio lì un tizio in piedi su una seggiolina e il suo compare sotto che distribuiva i fumetti, predicavano castità, parola di dio, morigeratezza, valori, matrimonio. Ci vuole del coraggio, comunque. Anche se credo che al mignottone spara-vodka non interessasse più di un tanto.
8 – andare a vedere una partita NBA dei Grizzlies, non fatto ma mi sarebbe piaciuto. Ancora di più al mio compagno che è un NBA dipendente.
Impossibile e inevitabile, non si può non andare a vedere la casa di Elvis: welcome to Graceland!
All’inizio siamo stati un po’ titubanti, per il semplice motivo che il costo del biglietto è di 36 dollari a persona, non poco, ma ammettiamolo, li vale tutti. L’organizzazione, prima di tutto, è sbalorditiva. Ampio parcheggio, vialetto che ti porta alle biglietterie, file per il mini autobus che porta davanti alla dimora, foto che troverete da comprare all’uscita, la guida che ti spiega tutto come un registratore. Strano. Affascinante.
Com’è la casa di Elvis? Come ce la si può immaginare. Pacchiana, colorata, strana. Si può visitare solo il piano inferiore dove risplende un’enorme cucina, la sala biliardo, i divani gialli, gli specchi. E poi una specie di autorimessa dove lavorava il padre, dove “the king ” leggeva le lettere delle fans, gli abiti di scena, la famosa Pink Cadillac e tutte le altre grandiose macchine. L’aereo dedicato a sua figlia (che, la storia vuole, avesse portato a “giocare sulla neve un’oretta”… Ovviamente in aereo) con i lavandini d’oro, l’aereo più piccolo.
Ma queste sono informazioni che possono essere trovate su qualsiasi brochure, descrizione, blog. Le parti sbalorditive sono altre. Il mito che è stato costruito, per esempio. Elvis non era un cantante, era un dio. Ed è rimasto un dio reggendo agli eventi, alle sue manie (a Graceland si cucinava 24h al giorno… ci credo che a un certo punto è diventato chiattone), alle compulsioni, alla fragilità. Springsteen è diventato Springsteen dopo essere rimasto sbalordito da una sua performance (“Per me è stato il 1956, Elvis e l’Ed Sullivan Show. Fu la sera in cui capii che anche un bianco poteva creare qualcosa di magico, che non era inevitabile finire condizionati e limitati dall’ambiente in cui si cresceva, dal proprio aspetto, o da un contesto sociale opprimente. Era possibile evocare il potere della propria immaginazione e trasformare il proprio io”), i vestitini pieni di strass da chi li ha presi Elton John? E questi sono solo due esempi. Nonostante io abbia solo 29 anni, sono cresciuta a pane ed Elvis (grazie mum, daddy e cassette de “la storia del Rock” del Corriere della sera) e ho sempre adorato la sua musica, ma solo adesso comincio marginalmente a capirne il valore storico, sociale e musicale. Complesso, controverso, compagnone (a quanto pare si facevano gare di golf kart sulle stradine di Graceland) e solo dentro, generoso fino allo spasimo. Tra le mura di Graceland viene presentato solo come un eroe positivo, morto perchè “non stava tanto bene”. Eppure anche conoscendo la sua vera storia, fatta di abusi di qualsiasi sostanza e puntando il faro anche sugli angoli oscuri, l’opinione non cambia, non c’è storiaccia che tenga. A lui si perdona tutto. Ma come si fa a descrivere Elvis? Non basterebbero tre libri (e io di sicuro non ho le competenze per farlo), ma ne colgo il valore. Conoscete qualcuno a cui Elvis non piace?
Un altro aspetto che mi ha shockata è il merchandising che gravita attorno a Graceland. Spiego. Il “parco” è diviso in diverse sezioni o zone, ogni attrazione ha il suo biglietto che viene staccato all’ingresso (es: visita all’aereo, visita alla zona delle macchine, casa di Elvis… E così via), e ogni sezione ha il suo negozietto con MERCHANDISING DIVERSO: sbalorditivo. Nell’ordine ho potuto archiviare tra gli oggetti in vendita (perdere 5 minuti per leggerli tutti): cioccolatini con foto di Elvis, salsa piccante “alla Elvis”, magliette (di ogni genere e sorta, ma questo è un grande classico), ciabatte (di peluche e non), riproduzione di vestiti, ricettari per tutte le stagioni che assicurano che quelli erano i piatti preferiti dal Re, luci di natale a forma di scarpine/piedi di Elvis, palle di natale con la residenza dipinta a mano, MR. POTATO ELVIS (se non avessi avuto un sano di mente accanto lo avrei comprato senza ombra di dubbio), Cadillac rosa di tutte le dimensioni, Cadillac rosa di peluche, bicchierini da shot incastrati su una macchinina (ovviamente una Cadillac, ovviamente rosa), divise da Elvis al servizio militare, orecchini (pendaglini, dischi, immaginine, pendaglietti), gioielli, riproduzione di abiti di scena (per la modica cifra di 2000$ circa), custodia portaocchiali, Graceland sotto la neve con Cadillac davanti, telefoni fissi (mobili e semovibili), teste in ceramica portaoggetti (agghiaccianti, potete mettere delle primule nel cranio di Elvis) o portafiori (inquietanti con quel buco), borse a scarpa con tacco, borse non a scarpa, grandi classiconi come calamite, tazze, thermos, portachiavi, cravatte (banalità), un uovo che si apre e ha dentro le scarpe di Elvis in miniatura (ha un nome?), piatti, ditali da cucito, campanelle, sale e pepe a forma di scarpe (o meglio, a forma di “blue suede shoes”), libro pop-up della villa, bomber rosa in puro stile anni ’50, lime per unghie, orsetti di peluche con il chiodo di Elvis, tappeti, mentine e caramelle al burro di noccioline e banana, bicchieri da spumante, palle da baseball, coprivolante (di peluche rosa, ovviamente), la riproduzione del camion del tour, racchettoni da mare e frisbee, porta pop-corn gigante a forma di chitarra (un tubo plasticone, ma chi ha il coraggio di mangiarseli?), borsa con Elvis marinaio, mouse pad, carillon, riproduzione di Elvis che cavalca il suo cavallo preferito (Rising sun), peluche di tutti i cavalli (con descrizione dettagliata dei cavalli), yo-yo, palle varie, bavaglini per bambini, temperamatite.
Si, Graceland è una macchina da soldi, ma è assolutamente impossibile resistere al fascino di Elvis e del suo mondo.
E già come sono mi piace ricordare l’aneddoto di quando un già famoso Bruce ebbe la grandiosa idea di andare a scavalcare la recinzione (che, oltretutto, è solo un piccolo muretto). E Springsteen era già “the Boss” e, come dice lui, “Ci sono stati molti ragazzi in gamba, molti pretendenti, ma c’è stato un solo re”, riconosce il merito assoluto, “Questo è Elvis amico. Questo è tutto. Tutto comincia e finisce con lui. Egli ha scritto il manuale.”
Nel 1976 a Memphis dopo il loro concerto del Born to Run tour, Springsteen e Steve Van Zandt decidono di fare una visita a Graceland. Quando vide le luci accese all’interno della villa, Springsteen scavalcò il muro.
“Nel 1976 (29 aprile) facemmo un concerto a Memphis e dopo lo show, era notte fonda, saranno state le tre del mattino, io e Steve prendemmo un taxi e ci facemmo portare alla casa di Elvis. Restammo fuori dal cancello era tutto chiuso, ma c’era una luce accesa a una finestra e io dissi a Steve
< Steve io vado a vedere se c’è Elvis >
Il tassista mi disse < Non scavalcare quel muro, ci sono dei grossi cani da guardia la dentro, ti faranno a pezzi >
Ma io mi arrampicai sul muro e saltai giu dall’altra parte. Ero pronto a subire l’attacco, ma non successe niente,
cosi camminai lungo la stradina fino all’ingresso principale.
Stavo per bussare quando un guardiano uscì dall’ombra e mi chiese < Ragazzo cosa vuoi ? >
Gli dissi < è in casa Elvis ? >
E lui < no, non c’è, è al lago Tahoe >
< Potresti dirgli che sono stato qui? mi chiamo Bruce Springsteen, sai ho una band e abbiamo fatto un concerto qui in città stasera, abbiamo anche inciso dei dischi… >
E lui disse < certo, certo. Però adesso penso proprio che tu te ne debba andare >
Cosi mi accompagnò fino al cancello, lo apri e mi fece uscire”
5 Comments
Nashville è uno dei miei sogni, più di New York o Miami, forse perché mi sembra ancora parte di quell’America vecchio stile..non so.. e poi per il Re ovviamente…spero di andarci presto ! sai che non sapevo che i Coyote Ugly esistessero veramente?!
26 Novembre 2013 at 10:48Esistono esistono..solo..mmhh.. le tipe sono un po’meno fighe che nel film 😉 Memphis e il sud in generale sono tutta un’altra America…colori diversi, cibo decisamente molto diverso…e poi Graceland.. decisamente merita un viaggio 🙂
26 Novembre 2013 at 12:17pensavo a Memphis e ho scritto Nashville… quando arriva l’ora di pranzo vado fuori di testa!!
26 Novembre 2013 at 10:59Che bellissimo questo post!Sto per andarci anch’io e mi hai dato vari spunti.Grazie!!!!
19 Maggio 2014 at 13:37Ne sono felice 🙂 E’ un posto davvero bellissimo…ma tutto il sud in generale mi piace un sacco. Ha un altro sapore 🙂
19 Maggio 2014 at 14:42