Ancora devo finire tutti i racconti dell’estate, correggere le bozze e finire i post e sono ancora qui, LA, California, welcome back in United States. Questo giro si vola Iberia: ok che mia madre è patriottica e che l’Iberia è compagnia di bandiera e che di aerei ne sono caduti pochi… Ma la Virgin Atlantic le fa una pippa. Alla grande. Almeno cambiate le copertine da marrone (che fa tanto coperta trovata in fondo all’armadio della pensione Mariuccia di Miramare) a un colore un po’ più vivace, almeno per risollevare l’umore. Stewart gayssimo e bambini rompicoglioni, per fortuna mi salva il Kindle, in questo caso le mie letture si sono alternate tra Severgnini (“La pancia degli italiani”, consigliatissimo) e, beh, Fabio Volo. Dai, ogni tanto ci sta.
Atterrare a Los Angeles è un brivido: la città è incredibilmente estesa, circa 80 km da un capo all’altro e l’impressione di volare su tanti piccoli pezzi di lego uno accanto all’altro in un maniacale ordine. Dall’alto cominci ad annusare la città, quel mondo che ti aspetta. Come sempre realizzo tardi le emozioni legate ai viaggi, non soffro più di fregola preventiva, ma forse perchè mi piace rendermi conto di dove sono, dell’emozione di essere ancora on the road..sono botte di adrenalina notevoli. Poi per un’entusiasta come me sono emozioni decuplicate.
Alla prima scala mobile ci aspetta il sorridente e affabile faccione del presidente, meno friendly il tipo ai controlli che ci guarda come se fossimo un branco di spacciatori assassini. Ma credo che il suo lavoro consista anche il questo, nel terrorizzare e demotivare chi arriva. Pazienza. Secondo check, almeno il tipo è simpatico. In attesa dei bagagli c’è una federale che gira con un beagle che annusa tutte le valige, cercando chissà cosa, oltre al cibo. Si perchè non si puó portare cibo se non dichiarato e il mini cane scova anche le mele dimenticate in fondo allo zaino dal campo scout del ’95. Per una volta, non io.
L’autobus ci porta al noleggio auto e la nerboruta Johanna ci URLA di stare attaccati. Dopo 3 frenate capisco che solo, non ci voleva vedere spalmati sul vetro davanti. L’Alamo ci fa un po’aspettare, ma la nostra pazienza è ripagata da un minivan a cui manca solo la macchina del caffè (o forse devo solo trovarla). In auto sono crollata, ho aperto gli occhi mentre arrivavamo sui lunghi vialoni alberati di Palm Springs, ed è stato doppiamente emozionante: se prima c’erano gli occhi della scoperta, adesso c’è la sensazione di conoscenza, di familiarità, di gioia di ripercorrere così presto le stesse strade. Neanche nel migliore dei sogni. Sono con persone che queste zone non le hanno mai viste e hanno l’adrenalina della scoperta, del nuovo. Mi emoziono a viaggiarci insieme.
Siamo arrivati tardi e abbiamo dovuto abbandonare la mia scelta di un locale ebreo, dove, a quanto pare, anche i tacos sono buonissimi. Abbiamo deviato su Denny’s e le sue porzioni big size. Che strano ritornare in un locale dall’altra parte del mondo. Alle 10:30 tutti collassati a letto…domani si comincia!
California, USA, Viaggi
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