Dopo pochi giorni in India ti accorgi di un paio di cose.
Numero uno: secca o non secca almeno una cacca al giorno la pesti.
Numero due: quando ti soffi il naso è come essere a inquinolandia e uscirà sempre nero.
Numero tre: qualcuno avrà sicuramente tossito sul vostro naan.
Numero quattro: non esiste il silenzio. Proprio non c’è. Se non c’è musica o litanie musulmane ci sono i clacson, i rumori della strada… Non c’è un attimo per far riposare le orecchie.
Forse anche per questo che ho amato così tanto la fortezza di Fatehpur Sikri la mattina all’alba: non c’era nessuno. Non un’anima. Niente venditori di miniscacchiere, collanine o cartoline. Niente. Consiglio spassionato, puntate la sveglia alle 6:30 e presentatevi là alle 7 (anche all’alba, visto che apre quando sorge il sole) e godetevi lo spettacolo meraviglioso del palazzo nel silenzio più totale. C’è da perdersi. La zona migliore è il cortile con la piscina ornamentale, su cui l’Umberto Smaila locale si esibiva per Akbar e le sue mogli. I riflessi, le luci, i colori. È magico.
Usciamo e veniamo assaliti da venditori di collanine. Inevitabile.
Ah, dimenticavo un dettaglio. A colazione ci siamo fermati in albergo: non c’era nessuno, a parte un vitello che ci guardava con aria interrogativa. Spunta un tizio scalzo dalla cucina più lercia del mondo a cui chiediamo un chai e un caffè. Aspettiamo.
Nel soffitto si sentono movimenti strani ma non ci vuole molto a scoprire di cosa si tratta: da un buco spunta un bel topolone dal soffitto che corre su una struttura di legno attaccata alla parete e si infila dietro una specie di quadro nel muro. E poi un altro, e un altro, un altro… Una colonia. Evviva. Buongiorno!
Tutti un macchina con Dave-ho-scoperto-che-è-nonno:direzione Gwalior. Gianni ad ogni chilometro sta peggio, é verde e bianco. Pessimo segno. Arriviamo in città e lui va a letto. Non ci siamo.
Io e gli altri intanto siamo andati a fare un giretto in zona, ma l’hotel Grace (posto piuttosto pulito, oltretutto è un po’ fuori dalla zona centrale e di ristoranti non ce ne sono, ci godiamo la strada, la gente. Un gruppo di ragazzi si è organizzato per una partitina a cricket in mezzo alla strada: ovviamente mi sono beccata una pallonata.
Anche a Gwalior c’è un forte o meglio, un insieme di palazzi splendidi, tra cui il Man Madir Palace (il cuore della fortezza e uno dei più grandiosi forti indù), con la particolarità di avere smalti in blu e in giallo con file di papere a decorazione. Non è facile trovare una cosa del genere.
Il complesso include 4 palazzi indù, un tempio indù e uno sikh, rovine dell’epoca inglese e un museo archeologico.
Ma la cosa che stupisce, colpisce e sbalordisce sempre di più non sono i musei e i reperti archeolgici, sono le persone. Il bambino che ci si è accozzato aveva 10 anni, parlava perfettamente italiano e inglese e chissà quante altre lingue. Una scheggia. Cresciuto per la strada da quando aveva 5 anni, storia strappalacrime e ghigno sveglio, addirittura prendeva in giro gli altri bambini che gli gravitavano attorno meno scantati di lui. Qui sopravvive il più forte e Darwin con la sua selezione naturale non diceva cavolate.
I templi che circondano il palazzo sono strepitosi e ricordano l’architettura di Angkor (ma forse ce l’ho talmente tanto nel cuore che tutto mi ricorda Angkor!), curioso che inciso su uno di essi ho trovato… Una vespa!
Sulla strada che porta al Gwalior Gate poi, rimani un tantino a bocca aperta per le sculture scavate nella roccia risalenti al XV secolo che rappresentano i corpi nudi dei tirthankar (i maestri giainisti): in pratica la stessa cosa vista a Datong in Cina! Fantastico!
Soprattutto dopo questa giornata mi sono resa conto di essere una specie di fenomeno da baraccone per gli indiani: la gente si pianta davanti e mi inchioda gli occhi addosso, tira fuori cellulare o macchina fotografica e me li punta addosso. Un po’ mi sta bene visto che io lo faccio sempre con gli altri. Sarà per i capelli ricci e rossi, sarà la pelle bianca cadaverica (Dave mi conferma che è questo che li incuriosisce tanto) ma per loro sono una specie di aliena, soprattutto in quei posti meno turistici in cui di persone ne passano di meno. Non so nemmeno quante foto ho fatto in questi giorni insieme a ragazzi, famiglie intere, mamme con bambini, gruppi interi. E devo ammettere che mi fa abbastanza ridere l’idea che probabilmente la mia faccia abbracciata a qualcuno di loro troneggerà a casa della famiglia in gita.
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