Ok, si sono io. Sono quella che lo scorso anno ha scritto il pezzo sulla scoperta della Fede in Bruce, l’illuminazione. Blinded by his light. Ieri sera, grazie ad una serie di fortuiti eventi (che chiamerei più precisamente botte di culo e gente che si è sbattuta per noi, nello specifico il solito Boido) eravamo anche noi a San Siro. Finalmente, San Siro.
A metà concerto Gianni “l’illuminatore” Mezzadri si volta verso di me, mi guarda e mi fa: “Paola però… Stai diventando come quelli della ML!”. Non so bene se in quel momento ero contenta o meno. Ma mi ha dato da pensare, e nonostante le 24 ore di veglia precedenti, ieri sera prima di andare a letto ero così emozionata che non riuscivo a dormire, e quindi mi sono messa un po’ a pensare e a ripensare. Il sorriso è comunque stampato sulla faccia.
Quindi considerazioni qua e là da una che ha fatto da zero a cento in un anno (e che ha visto 4 concerti in un mese).
Adoro Waiting on a sunny day. Mi piace il testo, la sua leggerezza, alcune parole che sono pezzi di vita che ogni volta Bruce mi ricorda. Ma sti bambini hanno un po’ rotto. Posso ammetterlo? Non tanto questi poveri bambinetti, quanti i genitori che per vederli sul palco venderebbero un rene. La bambina di ieri sera era di fianco a me a fondo Pit, quando waiting era nell’aria l’hanno catapultata davanti, le hanno tolto le cuffie e lanciata praticamente sul palco. Ok che è uno show, ma è veramente forzatissimo e credo che lancerebbero dei pomodori allo zio Bruce se una volta la togliesse dalla scaletta. Cioè, anche io vorrei tantissimo salire sul palco a farmi una ballatina con lui, non posso proprio negarlo, ma questa ansia da benedizione di bambini allungati nelle braccia del Boss è davvero un po’ malsana.
Anche io scatto qualche foto, registro qualche pezzetto qua e là così da poterlo riguardare a casa, anche solo per ricordarmi “che c’ero davvero”. Ma ieri avevo davanti uno con una reflex che ha scattato ininterrottamente per la prima ora con le braccia alzate. Nel pit non ci si muoveva, per la prima ora io ho guardato due braccia e quello che questo fotografo provetto cercava di scattare (magari due dritte la prossima volta gliele do, visto che se scatti ad una fonte luminosa con quelle impostazioni non verrà mai) nello schermetto della sua reflex. Cioè, scattate ma non rompete l’anima ai poveri cristi che vi sono dietro. Ah, ad onor di cronaca, il fotografo compulsivo ha smesso qualdo la tizia davanti a me, esasperata quanto me, ha cominciato a tiragli le bottigliette vuote, si è voltata verso di me e fa “la prossima gliela tiro più forte”. E non era una teenager, era adulta e con un braccio fasciato. In un secondo netto è diventata il mio idolo.
Un adagio del tempo dell’asilo diceva “chi va via perde il posto all’osteria”. Se vai via dal tuo posto sotto al palco e non riesci più a tornarci perché non hai avuto la premura di dire a qualcuno dei 1999 che erano intorno a te “scusa io dovrei andare un attimo a fare una puntatina in quel casottino rosso, se ti lascio lo zaino ti dispiace tenermi il posto?”. Nel pit c’è pieno di gente educata che capisce il valore di quel posto, se però vieni davanti a me (e sei alto 2 metri) e io ti dico “cavoli però, sei davanti a noi che siamo già pressati (e oltretutto c’erano attorno/dietro donne che sono la metà di te che sono lì da ore) e tu mi rispondi “guarda che io ho il braccialetto col numero più alto del tuo e devo essere più avanti di te ma non mi ci fanno ritornare là davanti” oltre a dirti di spostarti mi vengono in mente anche cose che è meglio non dire ad alta voce (per la cronaca, sono stata molto educata, poi si è spostato: educazione vs maleducazione vince sempre… La gentilezza esasperata mette a disagio i maleducati d’abitudine).
Finite le polemiche che forse sono figlie di 20 ore in piedi praticamente sotto il sole (dopo un weekend lunghissimo cominciato con il meraviglioso concerto di Padova) e di essere stati così sfortunati da aver preso il braccialetto che ci ha fatti entrare per 1700esimi nonostante la levataccia alle 2:30 (ma la Lottery è così, si sa, quindi non ti arrabbi), passiamo ad un altro genere di considerazioni. Emozioni.
Esserci. Guardare oggi il video di qualcuno al secondo anello che riprendeva un pit che ballava alla follia sulle note di Shout come un corpo di ballo, come un petto che si muove al respiro di Bruce e tu sai che eri lì, tu eri uno di quei pixel che muoveva le braccia saltellando e rivivi quella sensazione nella pancia, nel cuore e la musica ti rimbalza nelle orecchie per tutta la settimana seguente e tu sorridi ogni volta che qualcuno ti dice “ma dai, c’eri? Come è stato?”.
Perché lo spieghi, provi a raccontarlo, provi sempre a citare quella storica frase di Larry Katz “Nel mondo ci sono solo due tipi di persone: quelle che adorano Bruce Springsteen e quelle che non l’hanno mai visto in concerto “ ma la gente che non c’era, non capisce, perché non può capire.
Andando a quattro concerti nell’utlimo mese ho cominciato a capire qualche meccanismo in più nella testa degli sprinsteeniani. Leggendo la ML ogni volta mi incavolavo e dicevo “ma se devi star lì a criticare e a rompere le balle su ogni virgola di quello che fa Bruce, non ci andare, stai a casa e riguardati i video che vuoi su youtube!” e stamattina pensando che non ho i biglietti di Roma mi sono agitata, arrabbiata. Voglio andarci (anche se al sig.Springsteen quest’anno ho già finanziato abbastanza!). Ai concerti ci vai, perché ci “devi” andare. Perché sai che comunque quella magia, quella sensazione di orgasmo nel cuore, anche silenziosamente, ce l’avrai comunque.
E la voglia di quella sensazione si mischia alla paura di perderti qualcosa di Magico che può succedere, perché quella Thunder Road di ieri sera credo abbia spaccato i cuori di molti. Il mio, sicuro. Maledetto Bruce, sei riuscita a farmi piangere, ho stretto forte le mani della persona che amo, l’ho abbracciato ed ogni parola era in mezzo a noi. Nostra. E poi ti guardavi in giro e gli occhi di molti traboccavano lacrime di emozione. La gente abbracciata, e tu lì, a cantarcela come se fossi sul divano di casa. “Dai ragazzi, vi faccio Thunder Road, ve la dedico, so che è per voi”. In quanti c’è stata la sensazione che ci stesse personalmente dicendo questo?
Mi ha emozionata essere a San Siro, anche se mi è piaciuto più il concerto di Padova, l’ho visto più naturale, meno pressione addosso. A Milano ha fatto tutto quello che potevamo aspettarci, la cena perfetta per chiunque. Se non hai visto altri 4, 5 o 10 concerti nello stesso tour, la scaletta di Milano è stata impeccabile. Chi ha già consumato le scarpe su e giù per l’Europa avrà sicuramente da dire.
Io sono felice, ha fatto The River che aspettavo da tempo, da quella Trieste in cui ho visto la luce e in cui quella canzone mi ha fatto una tartare d’anima. La volevo.
Sto aspettando disperatamente It’s hard to be a Saint in the City (se l’avesse fatta in acustica nel preshow credo che davvero avrei scavalcato la gente per andarmelo ad abbracciare), Fire, Blinded by the light e una two for the road che per me sarebbe meglio di un matrimonio.
E mentre pensavo “dai dai, adesso fammi questa…per favore dai!” ho capito quanto Springsteen si sia fatto largo nella mia vita. Perché se penso a Blinded sento ancora l’odore del deserto e della strada al tramonto che ci riportava all’hotel dopo aver visto il Grand Canyon e con i finestrini abbassati abbiamo fatto urlare Bruce in tutta la vallata.
Ieri ero in coda con una ragazza che si è innamorata di Springsteen lo scorso anno e questo era il suo primo concerto. Un’emozione tangibile nei suoi occhi, i cartelloni con le richieste ancora da scrivere tra le mani. E adesso ci stiamo scrivendo su facebook per andare a Roma.
Ho riabbracciato una compagna di classe del liceo, un’amica, in coda anche lei per il prato: “ci vediamo dentro”, ma nel pit non è riuscita ad entrare. E poi l’ho vista fuori che salutava ed abbracciava una ragazza mai vista prima dicendogli “grazie per la stupenda serata… ma si sa, Bruce fa amicizia”. Mi ha fatta ridere questa frase: “ fa amicizia”.
E penso anche alle persone stupende che ho conosciuto in questi mesi, tra concerti vari, Glory Days, Miami and the Groovers in teatro o Jesse Malin. Bruce fa davvero “amicizia”. Stupendi “ ties that bind”.
Sono felice.
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One thousand dreams whispered in the dark
But a dream’s just a dream in one empty heart
It takes more than one to rev it up and go
So let’s get it running, we’re two for the road
7 Comments
L’ultima mia volta nel PIT è stato nel 2003, sempre a San Siro, sotto il 2° diluvio universale… Il concerto più bello della mia vita… per distacco: atmosfera da dio, scaletta sontuosa, Bruce e la E Street Band in forma smagliante. LEGGENDARIO.
5 Giugno 2013 at 9:57Ora mi “accontento delle tribune”, ma lo spettacolo e il coinvolgimento non sono mica diminuiti… tutt’altro!!!!!
Tornerò sul prato per la prossima tappa romana… sarà dura entrare nel PIT, ma ci proverò: mi hai fatto venire la nostalgia!!!!!
…Mi fa felicissima che sia “passato” quello che ho provato. Esserci, essere lì. Ma che emozione fighissima è?! 🙂
5 Giugno 2013 at 10:28Sempre brava nel raccontare emozioni comuni a molti di noi. Condivido l’avversione che rasenta l’odio per l’uso di Waiting come vetrina del proprio ego paterno o materno. Gianluca
5 Giugno 2013 at 17:25Detto da te, vale sempre di più…:) grazie mille..questi pezzi escono dalle dita, senza pensare!:)
5 Giugno 2013 at 17:46Brava! anche per me Trieste è stato il primo, ho saltato Milano ma ero a PAdova -lo hai letto nel mio blog :-)- e sto pensando fortemente a Roma. Le sensazioni sono sempre fortissime e quelle tre ore abbondanti ti fanno sentire collegato con l’intero universo. Non ce n’è di storie, solo Lui.
6 Giugno 2013 at 10:58la bambina c’era anche l’anno scorso e anche in altri concerti …è una del giro di bruce a cui fanno sempre fare il pezzo in waiting 😉 sarà a roma e credo ginevra…non è una a caso
8 Giugno 2013 at 14:30Che bello è vedere bruce dal vivo, è incredibile come trasmetta la sua felicità nel cantare, il suo amore per la musica! è molto più di un concerto!
6 Agosto 2013 at 10:54Complimenti per l’articolo, molto bello!