Scrivendo del viaggio che da Bagan ci ha portato a Lake Inle, ho cominciato a pensare a tutti i viaggi in autobus o sui mezzi di fortuna che ho avuto occasione di fare in Oriente (sud est asiatico o Cina, in Giappone viaggiare è solo un piacere) e ho cominciato a pensare alla sensazione che provocano in me quei ricordi, quelle lunghe ore passate su autobus scassati, spesso sporchi, con compagni di viaggio decisamente improbabili. Ci ho trovato della poesia, se devo essere sincera.
Siamo talmente abituati a viaggiare comodi in macchine con aria condizionata (beh, a pensarci bene, non la mia…) su strade asfaltate, su aerei che ti fanno volare a Parigi in un’ora e in Svezia in due, accorciando così tanto le distanze che… Beh, credo che ci siamo persi un po’ il senso del tempo e dello spazio.
I viaggi lenti,costretti e faticosi ti fanno percepire meglio proprio le distanze, quella fatica che per molti popoli è ancora all’ordinedel giorno. Ho spesso letto che in Africa gli autobus passano ogni tanto, non si sa l’ora, non si sa il giorno. L’attesa ti strema, la voglia di andare a piedi perchè faresti prima anche se rischi di schiattare è la speranza più bella che hai davanti agli occhi. E capisci il senso del viaggio, dello spazio, della conquista.
Un modo di dire che ho imparato negli scout (si, anche io andavo in giro con camicia azzurra, gonna pantalone di velluto anche d’estate e fazzolettone al collo) e che amo molto dire è “buona strada”, perchè in queste due parole c’è tutto, c’è il cammino, c’è l’impegno, c’è la meta. Sulla tua strada ci sono le suole delle scarpe che non butterai mai via, c’è il sudore, c’è il cibo mangiato per proseguire. E c’è il ricordo. E quindi, oltre al discorso filosofico voglio condividere i 5 peggiori viaggi che mi sono trovata ad affrontare, giurando purtroppo, che quello che scrivo è tutto vero.
5° posto – Datong – Beijing, autobus, circa 5 ore
Prima di tutto bisogna ricordare perchè eravamo a Datong, un posto molto figo per alcune cose (il tempio sospeso lascia a bocca aperta) e piuttosto triste per altre (la cosa più interessante che ho visto in centro è stato un KFC che non aveva sul menu il pollo fritto). La tappa dopo XI An doveva essere Pingyao, ma abbiamo scoperto solo in loco che… Era una specie di festa nazionale (tipo il nostro “ponte dei morti” celebrato l’1 e il 2 novembre) e quindi non c’era più posto su nessun treno (solo qualcosa su un treno notturno in piedi) o autobus. Abbiamo dovuto cambiare meta e mezzo e siamo volati con una compagnia aerea chiamata tipo “air dio-ti-aiuti” a Datong. Da lì, abbiamo proseguito, appunto, per Pechino. Un autobus fatiscente. Ma questo era il meno. Il viaggio è stato lungo, su un autobus completamente a pezzi e con accanto una famiglia che non ha fatto altro che mangiare banane e frutta e buttare la buccia per terra per tutte le ore del viaggio… Ma non è stata neanche questa la parte peggiore/migliore. No, è stata la proiezione del film che ci ha accompagnato a lungo dopo ore di video musicali sparati a volumi da discoteca. Ho guardato tutto (e dico tutto) Two headed shark attack, una delle peggiori pellicole mai trasmesse, con i peggiori effetti speciali mai visti. La Casa, in confronto era un film futuristico. Così brutto che davvero mi sono appassionata, non riuscivo a smettere, come un tramezzino confezionato. Vi consiglio il trailer, almeno.
4 °posto – Battambang – Phnom Penh numero di ore, non definito (previste 4 effettive credo 8)
Ero in viaggio da sola, ho conosciuto una ragazza belga e abbiamo fatto un pezzo di strada insieme. Entrambe all’avventura, entrambe con pochi soldi da spendere. Il biglietto dell’autobus “per turisti” era solo 5$ circa, ma noi no, volevamo fare come i local e risparmiare andando su un autobus cambogiano di linea per la risparmiosissima cifra di 4$ o poco meno. Risultato? L’autobus si è rotto circa 4 volte e aggiustato per 4 volte con pezzi di fortuna (un pezzo di maglietta, una canna per innaffiare il giardino, pezzi vari, un secchio) e quindi per quattro volte siamo dovuti scendere tutti dall’autobus, stare sotto il sole cocente tra i cambogiani che facevano i loro bisognini qua e là ed un odore disumano quando ci toccava risalire. Si perchè anche lì è usanza buttare bucce e pezzi di frutta e cibo avanzato in terra, sotto al sedile e calcolando che lo snack di quello accanto a me era un sacchetto di grilli… Si può ben immaginare. Ad un certo punto in un supermercato ho visto una bottiglia di vino (!?), al sole, su uno scaffale. Giuro che ho pensato di prenderla e stordirmi con quella. Fortunatamente è ripartito e io non ho potuto realizzare il mio intento criminale. Mi sono lavata per circa un’ora appena arrivata.
3 °posto – Vietnam, autobus notturno da Hoi Han a Na Thrang – ore indefinite, mille, credo
Partendo dal presupposto che si erano dimenticati di passarci a prendere, saliamo praticamente per ultimi su questo sleepy bus e gli unici due posti che sono rimasti sono in fondo, uno a destra e uno a sinistra di un simpatico hippy che non c’era modo di spostare, perchè lì voleva stare, perchè lì era il suo posto, punto. Cerchiamo di chiedergli gentilmente di farci stare vicini, nulla. Lui e la sua magliettina fiorata e il suo cappello tipo Panama ma di paglia non si sarebbero schiodati, punto. Ci giunge voce che due ragazze si vogliono spostare, mi alzo di corsa credendo di fare un buon affare con due posti vicini perchè tanto loro non avevano problemi. Quanta generosità. Ci scambiamo, il posto è un po’ stretto ma tanto io dormo in posizione fetale e mi serve uno spazio minimo, giusto un quadrato. Un quadrato, appunto. Quello sopra il bagno dell’autobus. Tutta questa generosità era dovuta al cesso del bus, il suo viavai e soprattutto al suo odore. La disperazione. Voglio ricordarmelo come un incubo, perchè non può esser successo davvero.
2 °posto – Siam Reap – Battambang via barca, ore di viaggio 8
Ho speso 20 dollari per andare in barca, al posto dei 5 / 10 del bus, ma è scenografico, vedi la gente che vive sul fiume, fai una cosa alternativa. Sei una viaggiatrice cool, ascolti un po’ di musica, prendi l’arietta del fiume. Certo, se non devi stare sul tetto della barca. Ovviamente non c’era posto sotto (i cambogiani avevano caricato montagne di provviste) e quindi l’unico modo per poter allungare le gambe era stare sul tetto del mezzo. Affascinante… Per le prime 4 ore. Poi sotto il sole cocente a 40 gradi della Cambogia, il tutto comincia ad essere un tantinello fastidioso. Ho parlato praticamente con tutti, ho scritto, letto, ascoltato musica, dormito con la bava alla bocca (certo perchè ti capita solo quando ci sono circa 20 persone che non hanno di meglio da fare che guardarti) e poi ovviamente mi sono ustionata. Ho la pelle color latte, l’ustione era ad un passo da me. Così ho avuto la malaugurata idea di chiedere della crema protettiva ad una ragazza che mi sembrava particolarmente gentile, in viaggio con un tipo che pensavo fosse il suo compagno (anche se mi sembrava un po’ troppo magrolino rispetto a lei) finchè mi sono accorta che le sue avances nello spalmarmi la crema erano un po’ troppo insistenti. Ovviamente ho beccato l’unica lesbica della barca che ha tampinato me e l’altra ragazza (Sofie, la belga) per tutta Battambang. Otto ore sul tetto di una barca. Non fa cool, fa sfigata.
Sul podio vincitore imbattibile (anche se il viaggio verso Lake Inle è stato un degno concorrente), al numero uno, c’è il viaggio che da Nha Trang ci ha portati nella deliziosa Dalat, in Vietnam. Due ore sulla carta, 5/6 sulla strada. A parte la questione delle curve (visto che si trova su un delizioso altopiano) in salita, che sono il meno, vorrei condividere il ricordo osceno di quel viaggio, tanto brutto da diventare un bel ricordo.
Prima di tutto il bus. Non come un autobus normale dai sedili alti con il poggia testa, ma una specie di scuolabus, dove tutti eravamo col le teste di fuori e non sapevamo bene dove appoggiarci. L’autista ovviamente guidava come un pazzo, facendo il filo a burroni che mi hanno fatto risalire il cuore in gola circa 200 volte. E non è neanche questa la parte migliore. Le curve, il caldo, l’altitudine… Si possono inserire tutti i fattori che uno riesce ad immaginare, ma quante volte vi è capitato di stare un un’autobus in cui il 70% delle persone stesse vomitando ed il restante 29% stesse dormendo?
Io lì, che cercavo di guardare Harry a pezzi con Gianni che dormiva come un agnellino tra buste di vomito di altri e rumori da bagno della discoteca alle 4 del mattino. E non è nemmeno questa la parte migliore. Ci siamo fermati in un posto dove poterci rinfrescare e mangiare qualcosa (chiamarlo autogrill mi sembra davvero ridicolo) , noi facciamo un giretto, prendo del the freddo, acqua e della frutta, mi lavo la faccia in bagno e torno a sedermi ai tavolini e cosa vedo? Il bambino che ho soprannominato il vomitatore pazzo che ha riempito una busta del conad con il suo pranzo rivisitato… Che sta mangiando con tutto gusto un piattone di noodle in brodo. Fatti fare un canarino, un risino in bianco ma santa polenta, devi proprio imbottirti di brodo e carne? E così risaliamo sull’autobus e tutto riprende come prima: l’autista mi fa pregare e imprecare allo stesso tempo, il bambino riempie nuovamente una busta della spesa di vomito (ma dove ci sta tutta quella roba?), la ragazza dietro di me piange per quanto sta male, Gianni dorme. E io sveglia, con la batteria del pc a terra, nessun libro a portata di mano e la disperazione negli occhi. Ho fatto partire l’ipod cercando di rilassarmi e sono partiti gli Zeroassoluto caricati non so bene quando, forse spinta dal motivetto teen che finisce nella lista guilty pleasure. Siamo arrivati. La speranza è sempre l’ultima a morire, e il ricordo… Beh, la parte migliore.
20 Comments
Parlando di Cina, per noi non è stato uno scherzo Yangshuo-Guilin. Buche, pietre, fossi da affrontare con un pullman sgangherato da rompersi i denti picchiandoli tra loro.
7 Marzo 2014 at 17:40E i cinesi dormivano…
Ma infatti, come cavolo fanno a rilassarsi?! A volte quasi ti ribalti dal sedile!:)
9 Marzo 2014 at 10:53Cavolo, che esperienze. 😀 Tanto bello leggerle, penso bello ripensarci, molto meno viverle. Io in parecchie di queste sarei rimasto K.O. per l’avversione al pullman che ho: mi fa sentire imprigionato. 🙁
7 Marzo 2014 at 18:41Adoro il riferimento scout. 😛 Una volta scout lo si è per sempre.
Il momento che ti manda ai matti è quando sei a metà di uno di questi viaggi e sai che ti manca ancora un pezzo uguale a quello che hai già fatto.. Follia.. Ci ridi su solo dopo:) Anche tu della cricca scout?:)
9 Marzo 2014 at 11:02Ahahahah sono rimasta inchiodata a leggere tutto! Che viaggi, e che ridere quando ci pensi (sul momento disperazione più totale)!
7 Marzo 2014 at 19:14Ti adoro. Punto.
Se troppo dolce!Ma mi ci vedi a carbonizzarmi su quella barca? Alla fine è bello ricordarle, ma anche viverle… Ti senti in situazioni surreali, al limite (quando fanno il pelo ai burroni però eviterei volentieri!)..ma forse è anche per questo che adoro viaggiare 🙂
9 Marzo 2014 at 18:27Che ridere… e che coraggio!!! A me è capitato che in Tanzania perdessero l’aereo… sparito… non si sapeva più nulla. Eravamo bloccati a Dar El Saalam (che fa abbastanza ridere come nome da comunicare all’ambasciata in caso di problemi), dopo 14 ore di viaggio e nessuno sapeva dirci se il nostro aereo sarebbe mai arrivato… ma non è nulla rispetto al pullmam dei vomitanti!!! Sono una principiante!!!
7 Marzo 2014 at 22:51Dar El Saalam mi sa tanto di dialetto parmigiano! aahhha…non beh, non sapere che ne sarà di te, aspettando un aereo fatiscente in Africa… Beh, è molto peggio!!
9 Marzo 2014 at 18:30Ma almeno non vomirava nessuno una volta a bordo!!!
9 Marzo 2014 at 18:33Ma poi, porcaccia la miseria, a uno che vomita da ore lo ri-riempi appena ha lo stomaco vuoto!? Oltretutto mi son dimenticata il dettaglio di quando non sapevamo se dovevamo scendere a spingere!!
9 Marzo 2014 at 18:42Sei riuscita a riportarmi alla mente i lunghi spostamenti africani da Nairobi a Mombasa, un’ora di volo, e invece no… io ho voluto prendere un bus di linea. Unica bianca che si sentiva chiamare Mujungu da tutti i kenioti che mi circondavano. 14 ore interminabili di viaggio con gente che in quelle ore si trasformava completamente, così come il bus, i suoi sedili, il corridoio, il pavimento… come se avessero vissuto una battaglia…
E una volta a Mombasa la chiatta sul fiume, questa volta ero non solo l’unica bianca ma l’unica donna a fare la traversata: che sensazione fortificante ed emozionante!
E poi i matatu: c’è stata una volta in cui mi sono arresa al tempo, come dici tu, e ho rifiutato di aspettare sotto il sole senza sapere quando mai sarebbe passato il prossimo matatu e mi sono incamminata in salita e poi in discesa su una strada che pareva non finire mai e poi un matatu mi è passato accanto, ma si sa… non si fermano alla chiamata al volo… e non avevo comunque le forze di provarci e così son state due lunghissime ore di cammino a riportarmi in “città” disidratata e distrutta, ma quant’è bello ripensarci oggi e raccontarlo! impagabile!
Grazie dello spunto!
8 Marzo 2014 at 9:22Io non sono mai stata in Africa ma da quello che ho letto e che scrivi tu… Beh, mi sembra molto più faticoso sia a livello fisico che psicologico. In Asia ti tirano solo pazza ogni tanto. Ma quanto è bella la conquista di questa strada? Sudata, faticata… Un personalissimo cammino di Santiago. Grazie della condivisone 🙂
9 Marzo 2014 at 18:36Ahahahah sei fantastica! Hai un modo di raccontare davvero travolgente! Già detto? Sì!
8 Marzo 2014 at 9:31Il comitato regionale pazzo e la PLAYLIST che parte con gli Zero Assoluto! Vabbè! 😀
E ad ogni modo è proprio vero che questi sono i viaggi che ci permettono di capire il significato del tempo abbandonando velocità e ogni tipo di comfort.
TU come sei andata a Kho Tao? Nessun bus notturno/traghetto/bus?! 🙂 Viaggiare comodi ti fa godere di più le tappe del viaggio, viaggiare scomodi forse ti fa capire un po’ di più il senso del viaggio. La cosa assurda è che ne avrei altrettante da raccontare (le stazioni di servizio notturne o quelle in mezzo al niente della Cina… E poi vogliamo parlare dell’India?! )..vivere viaggiando ti fa davvero capire il valore delle cose, anche solo quello di una crema solare! <3 un bacio stella!
9 Marzo 2014 at 18:40Ops… non volevo dire comitato regionale. Maledetto telefono! Il vomitatore pazzo 😀
8 Marzo 2014 at 9:32no vabbè, morta. Ti ho immaginata in ogni situazione e il momento in cui ho riso più di gusto è quando ho immaginato la tua faccia nel vedere il bambino vomitatore ingurgitare il brodo 😀 è proprio vero, mentre vivi certi momenti preghi solo che finiscano al più presto e dopo, quando si trasformano in ricordi, non resta che riderci un po’ su… sei fantastica Paola 😉
10 Marzo 2014 at 20:29Non so come dirtelo, e quindi lo faccio qui… c’è un compitino per te sul mio blog!!! Il post è #NeVadoFiero.
A poi…
13 Marzo 2014 at 21:26Io in questi casi cado in coma volontario per non affrontare la realtà! Spesso l’alcool aiuta, l’ho scoperto a mie spese su un volo aereo da film horror negli Stati Uniti 😀
3 Luglio 2014 at 10:34P.s. Ma dai! Two Headed Shark Attack è un film della Asylum! Io adoro quella casa di produzione, fa film così brutti che sono belli! Ti consiglio Megashark VS Giant Octopus 😉
Sai che mi hai fatto venire in mente che nel viaggio terrificante notturno in Vietnam ci siamo storditi con vodka e yogurt all’arancia..un’accoppiata vincente! Beh, il trash stimola anche in me un piacere perverso! Me lo scarico!
3 Luglio 2014 at 10:38Grazie per avermi fatto riportare alla memoria tratti dei medesimi tuoi viaggi in Cambogia. Ho fatto Thailandia – Laos e Cambogia tutta su autobus locali. Che non so se sia meglio un autobus locale o un minivan, non molto più comodo data la merce che caricavano sopra. Comunque meno di 8 ore al giorno di viaggio non si facevano. 8 ore erano poche. Sacchettini di plastica. E gente locale che vomitava in continuazione su e giù dalla riserva di Nam Ha e gettava sotto il sedile il tutto oppure fuori dalla finestra. Oppure andavi a mille all’ora su e giù tra curve e pioggia torrenziale, con l’aria condizionata a -10, tra merci, polli e galline. Fantastico.
10 Agosto 2014 at 10:11