Prima di leggere ascoltatevi questa canzone. Vi metterà nel mood giusto per questa città.
Prima di tutto quello che c’è da sapere di Kansas City è che si trova per lo più in Missouri, anche se un pezzetto si trova in Kansas… E partendo da questo il tutto a me sembra molto romantico, perché mi fa pensare a due persone che trovano un punto di incontro comune, si abbracciano lì in mezzo, senza discutere. Sì, di Kansas City ho un ricordo bellissimo.
Siamo stati poco, ma l’ho trovata affascinante, anche se dopo pranzo siamo praticamente collassati. Ma questa è un’altra storia.
Prima di tutto Kansas City è al numero 10 della classifica (stilata da chi? Come?!) per hipsteritudine. Cioè, non credo esista questo termine ma è stata scelta come città Hipster Friendly e la motivazione è legata ad una caffetteria con un barista nazi che ti vende solo caffè nero, e a cui non puoi provare a chiedere né zucchero né cream. Son strani eh.
Nella città che si dice avere più Boulevard di Parigi e più fontane di Roma, in cui è nato l’happy meal e in cui il signor Hemingway e il signor Walt Disney hanno mosso i primi passi (a quanto pare “papa” dormiva nelle vasche del Muehlebach Hotel, attualmente Mariott), si festeggia l’orgoglio Irish a fine agosto con fiumi di whisky… SI capisce lo spirito di questa big town. Decisamente.
A quanto pare negli anni 20 in pieno periodo di proibizionismo, a Kansas city si dice se ne fregassero altamente, e forse da lì nasce la loro passione per gli alcolici… Si, nella capitale del Missouri si beve tanto e bene… Il vino io non l’ho provata, ma a birre devo dire che ci siamo.
Come prima tappa, dopo avere fatto visita all’università, siamo corsi a mettere la bandierina alla Boulevard Brewery, un gigantesco birrificio artigianale in cui possono fare sia visite guidate gratuite (se non prenotate, ciccia! E’ abbastanza difficile piombare lì e trovare posto) oppure a pagamento (due diversi tour da 20$: Smokestack e Unfiltered Tour) se diversamente uno vuole solo andare a farsi una bevuta (ops! Volevo dire una degustazione!), il kit da 4 birrette costa solo 5$ e si possono scegliere tra 10 birre diverse.
Devo essere sincerissima: la birra è davvero super buona, e mi sono totalmente innamorata di quella al limone e zenzero. Anche le altre erano di ottima qualità, solo… Mi sarei attaccata alla spina di quella.
Fatto check in un bruttissimo Motel 6 (i prezzi in città erano piuttosto alti), avevamo già in programma di andare nel primo pomeriggio dal celeberrimo Oklahoma Joe’s, un BBQ segnalato in qualsiasi guida, sito o post come uno dei migliori barbeque degli Stati Uniti. Abbiamo pensato “se andiamo dopo l’ora di pranzo, noi che siamo sgamati e sveglissimi, non troveremo nessuno! Nessuna coda e mangeremo montagne di ribs in 5 minuti!”. No, non è così, scordatevelo.
Arriviamo in questa stazione di servizio (giuro, è una stazione di servizio), parcheggiamo, e vediamo una lunga coda fuori dalla porta. E’ uno scherzo. Sono le 14:30, non dovete andare a lavorare o qualcosa di simile? CI mettiamo buoni buoni in fila, visto che – soprattutto nei ristoranti asiatici – questo è il chiaro segno che il posto è buono. Aspettiamo. Quasi un’ora. Io stavo guardando – come si fa nei cartoni animati – il signore davanti a me come se fosse un enorme manzo. Il profumo era inebriante (del BBQ, non del signore). Aspettiamo… Aspettiamo.
Finalmente arriviamo alla cassa (è tipo self service) e con occhi più grandi della bocca (cioè, l’idea di rifare la fila dall’inizio era simile a fare trekking sull’Everest!) ordiniamo una fila di costine (con contorno di fagioli, perché noi siamo gente a dieta in viaggio) e un Z-man Sandwich.
Con il senno di poi lo dichiaro: avrei aspettato anche quattro ore per mangiare quel cibo. Quasi senza dubbio le migliori costine della mia vita (insieme a quella mangiate per colazione in Texas). Anche i BBQ beans erano qualcosa di incredibile. Fagioli. Fagioli paciugati al BBQ. Incredibile.
Voto 10. Ma.
C’è un ma.
Il cibo era veramente pesante: diciamo tanto buono quanto pesante e – sembra incredibile – ma dopo aver mangiato lì siamo andati a letto, collassati. Due ore a letto per digerire, perdendoci un pezzo del nostro programma.
Questa storia andava raccontata perché è stato lì, in quel BBQ a Kansas City che… No, nessuna richiesta di matrimonio. E’ stato un divorzio direi: da quel giorno io e la carne abbiamo quasi chiuso i battenti completamente. Oltre a quel livello non si può andare, oltre quel livello ci lasci le penne. E così, da quel giorno, in quella stazione di servizio, ho chiuso la mia relazione con le Ribs (non le ho ancora mangiate!) e la carne la guardo sempre con più con sospetto.
Kansas City è davvero enorme e molto variegata: è ricca di street art e decisamente verde (Swope Park è grande il doppio di Central Park a New York, tanto per capirci),oltre ad avere una caldissima vita notturna.
Noi abbiamo scelto di farci solo un giretto serale in macchina e poi nel quartiere dello Shopping, che a dire la verità, anche visto il nostro scarso interesse per l’argomento, era davvero delizioso.
Per gli amanti dell’architettura è da segnare come tappa imperdibile la Kauffman Center for the Performing Arts, che al mio ignorante parere compete ampiamente con la Walt Disney Concert Hall: futuristica, bellissima. Purtroppo per il poco tempo a disposizione non siamo potuti entrare…
Tappe obbligate al Liberty Memorial (il gigantesco obelisco eretto in memoria dei caduti della prima guerra mondiale a cui c’è annesso un enorme museo) e alla splendida Union Station e alla sua grandiosa sala d’aspetto (il parcheggio si paga infilando il dollaro in una cassettiera… e personalmente non ho capito come fanno a controllare!). Queste imperdibili.
Perdibile invece il Kansas Ciry river market, diviso tra mercato vero e proprio come lo intendiamo noi e shop per il cibo. Carissimo e con delle “italianate” imbarazzanti. L’unica cosa buona era una bancarella che vendeva quantità di mirtilli esagerate per pochi dollari. Non ho mai avuto le gambe così toniche.
Sempre al River City Market un’altra attrazione che abbiamo saltato a piè pari è stata la visita all’Arabia steamboat museum, che espone l’intero contenuto di una nave affondata “per un intoppo” nel 1856 e riscoperta nel 1988. Curioso vedere come tutto si sia conservato… Ma 14.50$ mi sembra eccessivo.
In realtà abbiamo passato la mattinata al Nelson-Atkins Museum of Art e ci abbiamo passato molto (ma molto!) più tempo di quanto avessimo programmato, poichè si è rivelato essere un concentrato di arte a dir poco pazzesco: da tutte le parti del mondo, tutte le epoche, tutte le correnti storiche… Ma cosa ci fa tutta quella roba lì? Da Caravaggio a delle pale di legno intagliate portate dalla Cina, sculture cambogiane che si alternano a fotografie o a dei Monet, fuori nel giardino statue di Rodin.
Una menzione speciale va al gift shop, pieno imballato di minchiate così meravigliose che avrei comprato tutto, (la tazza con la faccia di Van Gogh che quando si scalda gli fa sparire l’orecchio o ghiaccioli a forma di dentiera) e alle FANTASTICHE brochure per farsi i tour personalizzati all’interno di questo enorme museo. In pratica, se sei interessato alla moda, vai qui qui e qua, se sei gay e vuoi farti un tour delle opere gay friendly vai lì e là, se sei come la Claudia Vannucci che fa i tour del macabro… Voilà, scegli queste zone del museo.
Questa si chiama non discriminazione, o meglio… Questa si chiama figata!
Da appassionata sono rimasta sbalordita.
Abbiamo lasciato la città soddisfatti e con la pancia piena di cibo di Cipotle, una delle mie catene preferite, sia per il cibo buono e abbondante, sia per le loro politiche aziendali di coltivazione e allevamento.
Ci siamo diretti in fretta e furia verso la piccola e deliziosa cittadina di Independence, in cui volevamo fare tappa per visitare la casa di Henry Truman, non senza fare tappa in un benzinaio fuori città, in cui la scena che si è presentata è stata a dir poco surreale…
Entro, gestione di indiani (dell’India, non nativi americani). Sorrido. Mi sorridono con i loro dentoni bianchi e… La conversazione va letta con l’accento di Raj di big bang theory.
“Hallo!” Where are you from?”
“hem… I’m Italian.. and you? Where in India?”
“Punjab! You are beautifull!” (ehm… Ormai è chiaro che ho un incredibile ascendente sugli indiani.. E che ¾ degli indiani emigrati sono del Punjab)
“thank you…”
“where in Italy? Brescia?”
“eh? No… Parma… Do you know Parmesan Cheese?”
“MMhh.. no. Sorry. Beautifull place Brescia, best place in the world”
Si, la gag è andata avanti per un po’ con lui che sosteneva che un suo cugino gli ha detto che Brescia, è il posto più bello del mondo, e che il suo sogno era andarci. Cioè, nella periferia di Kansas City c’è un giovane indiano che sostiene fermamente che la snobbata città lombarda sia il vero ombelico del mondo. Mi veniva troppo da ridere, era surreale. Ma almeno sarà contenta la metà bresciana di una coppia di nostri splendidi amici che sono sposati ma ancora discutono se sia meglio Brescia o Bergamo. Brescia, nel resto del mondo (o almeno in una casa dispersa del Missouri), rules.
CI dirigiamo verso Independence, dove con il pass dei parchi entriamo gratuitamente per la visita guidata della casa del presidente Harry Truman, celebre sia per aver sostituito il longevo Roosevelt sia per essersi trovato a sganciare la prima bomba atomica sul Giappone, e nonostante mi sembrasse una brava persona (uno che l’hanno un po’ piantato lì a fare il presidente quando lui voleva solo starsene seduto in veranda a sgranare fagioli)… Ha fatto anche questo.
La visita guidata è stata inaspettatamente interessante e divertente. Cioè, mi sono proprio divertita.
La casa è carina, non grandissima, veramente modesta come a quanto pare era lui. Ma la parte grandiosa, oltre ad avere un ranger ipereccitato che ci spiegava anche il perché di una tazza messa in un certo modo con l’entusiasmo che si dovrebbe mettere nel descrivere la grande muraglia cinese, sono stati i compagni della visita guidata. In men che non si dica ci siamo ritrovati ad essere pubblico non parlante di un talent show che chiamerei “chi vuole essere Harry Truman”, in cui due coppie di affrontavano a suon di date e curiosità, facendo a gara a chi rispondeva per primo alle non domande di questo povero ranger che con tutta probabilità avrà pensato “a me piacciono gli animali, io ho fatto il corso perché volevo andare nel Grand Canyon!”.
E niente, ad un certo punto mi è presa la ridarola. Loro rispondevano e tra un “non si tocca qui, spostati di lì, non toccare là” ho cominciato ad immaginarmi un quiz con il ranger al posto di Mike Bongiorno. Che a pensarci bene si comportava in tutto e per tutto come Jim Carrey in “the Truman Show”.
Però intanto ho imparato una delle frasi celebri da lui pronunciate “«If you can’t stand the heat, get out of the kitchen»” che più o meno significa “se sai reggere/fare una cosa, levati dale palle”, che l’amata moglie odiava la capitale e dover fare la first lady, e che la figlia Margaret, ha scritto un sacco di libri gialli (praticamente tutti con un titolo che comincia con “Murder”) e che da piccola era un’allegra pasticciona. I racconti di Natale, quando lei cantava davanti al camino, erano così sentiti che mi son chiesta se ci fosse anche il ranger. Una foto fatta di sfuggita da fuori, prima che il ranger dai guanti bianchi (giuro, aveva anche i guanti di cotone per aprire le porte) con un colpetto di tosse mi dicesse gentilmente di levarmi che doveva chiudere il cancello.
Quel pezzo di America, quello là in mezzo su cui si vola ma dove non ci si ferma… Beh, non mi aspettavo mi riservasse tanta bellezza e tante sorprese. Consigliatissima.
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