Oggi a pranzo ho mangiato olla. Una zuppa con i ceci, le patate e il pollo.
Ieri lenticchie. Sempre con patate, chorizo. Grandi pentolate che profumano di inverno sulle montagne andaluse.
Sì, c’è a casa mia nonna e tutto profuma di cibo buono, il caldo è più caldo del solito e tutta la casa si è trasformata in un’enorme produzione di maglioni e calzine calde da portare in casa.
Tutto profuma di casa. E mentre ero nella vasca da bagno ho cominciato a pensare a cosa vuol dire casa, per me.
Niente frasi da smemoranda in stile “la casa è dove è il cuore”.
Io non so bene cos’è casa, perché una casa ben precisa non l’ho mai avuta.
Quando mi chiedono “di dove sei?” io non so davvero cosa rispondere e quindi ho optato per una risposta che sia aggira più o meno intorno a “abito tra Parma e Piacenza”, che è decisamente diplomatico.
Ho un padre comasco, una madre andalusa, mia sorella è nata in Valtellina, abbiamo abitato in Trentino e in Sardegna, per un periodo io ho vissuto a Milano e la mia residenza negli ultimi anni è stata un casino.
Di dove sono? Cosa vuol dire crescere in una famiglia multiculturale e puoi vantare tra i parenti un’inglese, una marea di spagnoli, una uruguaiana e un’olandese d’adozione e due cugini con sangue svedese?
Di sicuro impari ad essere un diverso, perché la tua mentalità è più aperta. E tutto, ti sembra un pochino più normale che per gli altri e il tuo senso di adattabilità è decisamente più spiccato che negli altri.
Impari che il razzismo è qualcosa di veramente brutto (vi auguro i racconti di mia madre di quando era in Svizzera negli anni ’70) e che la reazione contraria a volte rasenta il ridicolo: tra i dipendenti dell’hotel che avevano i miei genitori possiamo annoverare un ex guerrigliero colombiano (cuoco), argentini (camere), un portoghese (aiuto cuoco canterino), una rumena che si nascondeva dal fidanzato (camere), marocchini (portiere di notte dormiglione), una ragazza troppo lenta della Costa D’Avorio (lavapiatti).
E ogni volta mio padre si chiedeva da dove cavolo li tirasse fuori mia madre (oltre ad incavolarsi per tutti i fazzoletti comprati ai ragazzi di colore, che sapevano che mia madre era un soggetto debole).
Cresci che non hai una tradizione culinaria, e quindi te la inventi: per la cena di Natale l’unico punto fermo sono le tartine al salmone. E il prosecco, che quello ci sta sempre bene.
E farò outing: la prima volta che ho mangiato gli anolini (i tipici tortellini ripieni di Parmigiano della provincia di Parma) avevo 21 anni, perché li aveva cucinati la madre del mio ex. Perché la madre del primo era svizzero tedesca, quindi la cosa più tradizionale che faceva era la salsa per condire l’insalata e dei buonissimi biscotti di pan di zenzero.
Cresci in una provincia in cui si festeggia Santa Lucia e tu sei l’unica bambina che il 14 dicembre, per tutti i 5 anni delle elementari, al tema “cosa ti ha portato Santa Lucia?” era costretta a rispondere “Mandarini. Sempre e solo mandarini perché a casa mia Santa Lucia non passa”.
Però mi beccavo Babbo Natale e pure i re Magi: Lombardia e Spagna dicono questo, e quindi regali spalmati in due date. Doppio entusiasmo.
Io capisco il dialetto comasco e il mio spagnolo è pessimo, perché a furia di sentire parlare i miei parenti mi sono accorta che mi mangio le parole come fanno giù al sud della Spagna, e tanti vocaboli li ho dati per assodati. Si dice così, e quando parlo con spagnoli riconoscono subito da dove vengo.
Da dove vengo? Da nessuna parte.
Ho la stessa sensazione di casa quando mangio la papaya salad in Thailandia, il mio dolce preferito da Cracker Barrel negli Stati Uniti, la enseimada a Palma de Mallorca e il bollito a Parma.
E’ un po’ come un sensazione che senti nella pancia, non tanto qualcosa legata ad un luogo ben preciso.
Mia madre con me e mia sorella non ha mai parlato spagnolo, io l’ho imparato da grande perché lo volevo fortemente, essendo la cultura spagnola in me, decisamente molto radicata.
Le ho chiesto perché non ci ha cresciute bilingue e lei mi ha risposto “non volevo che foste discriminate”.
Perché quando andavo a scuola io di stanieri non ce n’erano, di neri, cinesi, dell’est Europa… Neanche l’ombra.
A parte due ragazzi polacchi, che tutti guardavamo come qualcosa di esotico, con quei nomi strani.
E mi viene da pensare – in questo momento in cui tutti parlano di grandi libertà – a quanto mia madre potesse sentirsi discriminata in un posto snob come una Salsomaggiore ancora fiorente, in cui la Spagna non era esotica, ma zotica.
E adesso, essere spagnoli, è molto cool. Perché c’è Formentera e Barcellona.
Che poi quella, non è neanche Spagna, e che ti stanno sulle palle i catalani te lo mettono nel DNA.
Quando si litiga gli insulti ogni tanto partivano in spagnolo, e quando tornavo tardi e salutavo mia mamma bisbigliando “sono tornata” , lei mi rispondeva nella sua lingua madre… E a me faceva sempre ridere.
Io ho una lingua madre, un posto dove abito, dei cibi con l’etichetta “comfort food”, una nazionalità sul passaporto, una religione incollata addosso come il prezzo di un prodotto al supermercato.
Sono da sempre alla ricerca disperata di un’identità legata ad un posto perché quando sento frasi tipo “sono cittadina del mondo”, mi si accappona la pelle. Appartenere ad un posto, sentirlo come tuo.
Un gesto che mi porto dietro da tempo è stato quello di un viticultore friulano (Zidarich), che parlando della sua vigna aveva preso un pugno di terra tra le mani, l’ha sgranato, l’ha annusato. Ha scavato una cantina e tutta la terra che ha tolto l’ha messa tra i filari, perché nulla doveva muoversi da lì. E questo è bellissimo.
Tutto quel terreno era suo, era della sua famiglia e non c’era nessun altro posto in cui lui sarebbe voluto essere.
La mia casa, sono le mie persone credo.
In questo momento io mi annuso mia nonna, che profuma sempre di pulito e di crema idratante. E non c’è nessun altro posto in cui vorrei essere.
16 Comments
Bello articolo. Forse proprio questa è la tua fortuna. Essere poliglotta al giorno d’oggi, per quanto mi riguarda, è una fortuna!
16 Gennaio 2015 at 10:39Oltre a parlare più lingue (che è davvero fondamentale per viaggiare!) per me è bellissimo mettere le mani in più culture… Non è forse questo il senso di tutto? 🙂
17 Gennaio 2015 at 10:27Un abbraccio
Che bello annusarsi la nonna! Anche la mia sapeva di pulito e di crema!
19 Gennaio 2015 at 11:10Quanta nostalgia in questo post! Mi piace tantissimo leggerti!
Ma che tenerezza infinita è questo commento?! 😀 Grazie mille di essere passata di qui, spero di ritrovarti qui e là!
19 Gennaio 2015 at 12:11Buona giornata!
Che bello che vuoi così bene a tua nonna, che i fai sentire i profumi delle cose, che mi parli di Zidarich.
19 Gennaio 2015 at 17:10Ci sono periodi in cui non passo a leggerti per un po’ a causa del poco tempo, delle “corse” di tutti i giorni e delle mille cose da fare che sembrano sempre più importanti di altre.
Ma quando torno e leggo qualcosa di così, scritto con semplicità e sentimento, il tempo mi si ferma davvero. Mi fa stare bene.
Grazie Paola <3
La mia nonna la adoro, ti rende l’anima e la vita un posto migliore… Mi sa che non la faccio mica tornare in Spagna.
21 Gennaio 2015 at 17:34Sei un tesoro tu, lo sai?
Bellissimo questo post..
22 Gennaio 2015 at 23:24Tante volte mi sono chiesta come sarebbe potuta essere la mia vita se avessi avuto un nonno o un genitore straniero. Mi sono fatta molti film in testa poi sono partita per Londra e lì ho capito cosa vuol dire non saper rispondere esattamente ad alcune domande! Perchè poi mi sono ritrovata ad avere due case, due stanze, due sim del cellulare, due indirizzi.. tutto era doppio! Una cosa in Italia e una a Londra. Ma come dici tu, casa non è la mia abitazione, il mio paese, le mie strade. Casa sono le mie persone, quelle che davvero fanno la differenza.
Bono Vox dice “A house doesn’t make a home” e per me è proprio così. Sono di poter vivere ovunque, e di poterci stare bene ma casa, nel senso più caldo della parola, sono le mie persone.
Grazie per aver scritto queste parole che condivido totalmente!
P.S. Anche io non sopporto la frase dell’essere cittadini del mondo, non vuol dire nulla!
Quando vengo a Londra mi prometti che ci mangiamo qualcosa insieme? 🙂
24 Gennaio 2015 at 20:51E’ stato strano crescere con una madre che ancora dice “noi” per parlare di spagnoli e che cerca di insegnarti ad amare il tuo paese (l’Italia). Ma poi i geni si fanno avanti, e quello che sei, prima o poi viene fuori. SOlo che sei sempre un po’ sfasata, e a volte hai addirittura quella sensazione di “mi sembra di tradire l’altra patria”…!
La casa, sono le nostre persone, proprio sì! 🙂
Ora sono tornata in Italia però!
25 Gennaio 2015 at 9:55Dovremo mangiarci qualcosa insieme qui 🙂
[…] Il post che mi ha emozionata è stato scritto da Paola di “Scusate io vado” e si intitola “Crescere in una famiglia multiculturale“. […]
2 Febbraio 2015 at 13:48Grazie.
3 Febbraio 2015 at 8:41In questa giornata uggiosa mi hai soffiato aria di libertà e ho sentito tanti profumi che erano racchiusi magari in un barattolo. Alla prossima….torna presto!
che bellissima immagine, questa del barattolo! Come quando apri quello del caffè, per sentirti a casa!
3 Febbraio 2015 at 9:17Grazie per essere passata di qui, ti auguro una splendida giornata!
L’ho riletto ;-)! Me lo ero “quasi” dimenticato, e mi è piaciuto ancora….
19 Marzo 2015 at 18:44Adesso che la nonna è tornata in Spagna me lo sono riletta anche io. Anche se mi è presa un po’ di tristezza. Un abbraccio
20 Marzo 2015 at 9:34Che peccato che tua mamma abbia avuto paura di insegnarvi la lingua, tra l’altro, essendo molto simile all’italiano, non avreste avuto difficoltà! 🙁 Ma capisco che non sia stata una scelta facile. Mia madre è finlandese, e ha sempre fortissimamente voluto che imparassi la lingua e conoscessi la cultura finlandese: mi ha sempre parlato solo in finlandese (tranne in presenza di papà, tra l’altro sono comasca anch’io) tutte le mie estati le ho passate su al paese dai nonni. Da qui il mio bilinguismo e multiculturalismo anche se ancora oggi non sono sicura di quella che sono: troppo italiana per essere finlandese, un po’ finlandese per essere del tutto italiana.
22 Aprile 2016 at 17:44Complimenti per il blog! 🙂
Ciao Evelina… Ma che commento delizioso! Io mi sento geneticamente spagnola, la mia alimentazione è senza pasta ma piena di patate, il sangue è quello… Ce l’hai lì!
3 Maggio 2016 at 19:33Noi andavamo sempre a natale, ma non abbiamo mai fatto lunghi periodi…Casa mia è sempre stata un delizioso casino di tradizioni. E’ forse questo il bello delle famiglie miste? <3
un abrazo muy fuerte... Come si dice in finlandese? 🙂