Il Parque Nacional Natural Tayrona è uno dei più celebri parchi naturali della Colombia, sia perché è un parco che si affaccia su un mare che per la splendida foresta pluviale attraverso cui si può camminare per arrivare ai diversi punti panoramici.
Ma prima di tutto, come ci si arriva? Come arrivare al parco nazionale Tayrona? Noi abbiamo fatto base a Santa Marta, una cittadina conosciuta per essere la più antica città di tutto il Sud America, meta marittima soprattutto per i colombiani. Il mare è bello ma lo sfondo di gru e ciminiere… Beh, non è il massimo della vita.
Fate un giretto per la città, un bagno in mare, mangiatevi un chevice local (che è molto diverso da quello peruviano, qui viene fatto con una specie di salsa rosa che lo fa assomigliare più che altro ad un cocktail di gamberi), ma poi partire alla scoperta di quello che c’è intorno.
Santa Marta è anche una buona base per andare alla scoperta della Ciudad PErdida, il “Machu Picchu colombiano”, tanto per capirci, a cui però bisogna dedicare un trekking di diversi giorni (per il quale noi non abbiamo, purtroppo, avuto tempo).
E quindi, come arrivare al Parco Nazionale Tayrona?
Tra la calle 11 e la carrera 12 si trovano bus che fanno la spola avanti ed indietro per il parco a partire dalle 7 del mattino. Non c’è orario perché vige la regola “quando ci siamo tutti, partiamo”, e quindi per un’ora di strada verrete sballottati qua e là sul bus. Il costo è di 6000 pesos per persona.
All’ingresso del parco, non andate subito alla biglietteria, perché finché non hai superato il contrappasso del filmato informativo non ti fanno il biglietto. E non c’è storia, te lo dicono quando ormai hai fatto la fila. Ritorni dal via. Ti guardi il video sul parco, qualche spiegazione e poi rimetterti in coda. Il costo è di 38000 per gli adulti non residenti (per i residenti è di 14000), è hanno sostanziosi sconti per studenti fino ai 25 anni.
Per arrivare alla prima tappa, Castilletes, fortunatamente, c’è un servizio che ti passeggia su uno scassatissimo autobus al modico costi di 3000 pesos. E così 5 chilometri in salita, sono andati.
All’ inizio del percorso (che oltretutto ha il vantaggio di avere cartelli che indicano la percentuale di strada fatta… Che anche se non sembra sono piuttosto motivazionali!), di può scegliere se farla a piedi o farsi trasportare da cavalli per 16.000 pesos a tratta.
E qui bisognerebbe aprire un capitolo.
Nel parco si trovano tanti cavalli e qua e là degli asinelli (di animali selvatici in tutto il giorno ho visto solo una scimmia e infinite lucertole dalla pancia colorata). Non mi sembravano troppo allegri, né troppo sani. Sicuramente assetati. Mi sarei sentita male a farmi passeggiare quindi, investiamo in salute e la scarpinata ce la facciamo a piedi.
Nello zaino a parte un po’ di provviste ci siamo portati dietro anche una tanica d’acqua da 5 litri, da travasare in una bottiglia portata a mano. Senza acqua, davvero, qui non ce la fai.
Il percorso è un sali scendi non troppo impegnativo, c’è solo il problema del caldo e dell’umido che ti sega le gambe in due… Almeno, a me.
Prima di arrivare ad Arrecife, la prima tappa attrezzata con campeggi e punti di ristoro, si trovano alcuni punti panoramici spettacolari, da cui si può capire cosa significa “non si può fare il bagno”: qui le onde fanno molto Point Break, ma sempre e solo nella scena finale eh!
Ad Arrecife comunque non c’è nulla, qualche campeggio (attenzione, i bagni non sono pubblici, visto che sono stata inseguita come se avessi appiccato un fuoco, solo per aver fatto pipì nel loro “pulitissimo” bagno… 2000 pesos letteralmente buttati nel cesso), i cavalli, qualche chiosco.
La tappa successiva è piuttosto vicina ed è quella sicuramente più ambita: la Piscina, un spiaggetta meravigliosa con alle spalle la foresta e dove si può stare a mollo nelle acque calme (è un’insenatura)… E dove una spremuta di costa 5000 pesos.
Un dettaglio carino che può essere utile è questo: prima di arrivare alla Piscina si incontra una panetteria/bakery chiamata “Bere”… Che in italiano fa un po’ ridere.
In realtà è un casottino con un un tavolo di metallo fuori, con un signore che impasta. Quello che è pronto si mangia.
Quando siamo arrivati noi, ovviamente, non c’era più nulla.
Evidentemente devo aver mostrato un’enorme delusione con tanto di sospiro sconsolato, visto che una deliziosa famiglia colombiana ci ha gentilmente regalato uno dei loro – costosissimi oltretutto – panini farciti con arrequipe.
Oltre a fare quattro chiacchiere con noi, hanno rafforzato sempre di più nella nostra testa l’idea di quanto i colombiani siano accoglienti e carini… Oltre che il dulce de leche è una droga assoluta!
Riposino in spiaggia (dove mi sono ovviamente ustionata le gambe) e ritorno al campo-base Santa Marta.
Come all’andata al ritorno: lunga camminata bollente e sfiancante, bus per tornare all’ingresso del parco (3000 pesos) e 6000 per tornare in città.
Il parco è bello e merita sicuramente una visita, solo portatevi da mangiare e da bere, almeno per evitare di spendere il un giorno quello che in Colombia spendereste in una settimana.
Per cena, prima di prendere il maledetto bus che mi ha fatto desiderare di essere su un aereo verso casa, abbiamo fatto tappa in usa cevicheria peruviana, dove ci siamo mangiati una notevole dose di pesce marinato.
Poi doccia, taxi verso la stazione dei bus, attesa, bus notturno con il clima che ricordava il killer del camion frigo di Dexter.
Il bus parte in direzione San Gil in cui dovevamo fare solo un breve stop… E invece.
Non so ancora se è stato un colpo di caldo (camminare per ore a 40 gradi è da pazzi), un’intossicazione alimentare (lo so che non si fa, ma il pesce crudo mi piace troppo maledizione!) o un colpo di freddo dovuto al bus.
So solo che mi con la wifi del bus ho cercato “come far rimpatriare la salma”.
E non sto scherzando.
Arrivati a San Gil abbiamo preso un Taxi fino all’Hostal Bacaregua, a cui farò una menzione speciale. La signora Leonor è stata più o meno come una dolce zia che ti accoglie a casa e ha – oltretutto – fatto qualsiasi cosa per farmi sentire meglio, a partire dal fatto che la stanza non era pronta e lei si è messa a pulire con la cameriera. Ha chiamato il medico, una farmacista, è venuta a chiedere più volte come stavo, scrivendomi su un foglietto quello che dovevo prendere per reidratarmi.
Dopo una notte da incubo mi sono sentita finalmente bene, o almeno ero in un posto caldo comodo e pulito, in cui volevo solo piangere e non avere l’urto del vomito davanti a qualsiasi cosa.
La mia tristezza estrema era però dovuta ad un’altra cosa: San Gil è la capitale colombiana dell’outdoor, ovvero tutti quegli sport un po’ estremi di cui io vado letteralmente pazza. Chiamata la “tierra de aventura”, è un vero paradiso per chiunque voglia fare rafting-canyoning-parapendio-trekking, un vero incubo per chi vuole fare rafting-canyoning-parapendio-trekking e non si regge nemmeno in piedi sulle proprie gambe.
8 Comments
Wow!!! Paola, ma che posti favolosi e che bella escursione deve essere stata! E poi le foto sono davvero splendide!!!
21 Maggio 2015 at 9:22Grazie mille! Siete sempre carinissimi… La Colombia è davvero una perla tutta da scoprire!vi abbraccio
27 Maggio 2015 at 14:48Oh che meraviglia… è un po’ di tempo che sento parlare sempre di arrequipe…. l’universo mi starà mandando qualche messaggio sulla Colombia?
23 Maggio 2015 at 13:17L’arrequipe è davvero una delle cose migliori che puoi spalmare su qualsiasi cosa di solido (biscotti, pane, gelato molto gelato). Spero di mandarti tanti segnali per farti partire per la Colombia, è un viaggio stupendo che merita!… Ripartiamo? 🙂
27 Maggio 2015 at 14:48ecco, stare male in vacanza..uno dei miei incubi peggiori!! per fortuna è andato tutto bene 🙂
24 Maggio 2015 at 11:09Ciao Cirio! Per fortuna in tutte le mie peregrinazioni per fortuna sono stata male solo un paio di volte… Ma non te lo auguro davvero! Ti senti davvero spaesato… L’importante è che sì, è andato tutto bene (anche se sono rimasta con un bozzo da puntura sulla chiappa per 20 giorni!).. Grazie per essere passato di qui! 🙂
27 Maggio 2015 at 14:46Che ridere Paola! Io pure ho preso un’intossicazione stile “esorcista” a Cartagena, sudavo freddo!! Avevo così paura di essermi presa il tifo che pregavo Dio promettendogli che se mi avesse fatta stare bene avrei fatto tutte le vaccinazioni al mio ritorno (e le ho fatte!!).
13 Agosto 2015 at 1:06Maledizione , è colpa dei condizionatori mi sa!
15 Agosto 2015 at 23:07Io giuro che ho preso una paura che non me la dimentico alla svelta…
Dici che è il caso che mi faccia qualche analisi del sangue? ahahah! Ti abbraccio forte