[Questo post è stato scritto mesi fa, su precisa richiesta. Mi sono sempre detta che non l’avrei mai pubblicato, perchè è quanto di più triste e intimo che si possa trovare in questo blog. Ho apportato alcune modifiche perchè già così, è come frugare dentro al mio cassetto delle mutande. Siate lievi.
A volte c’è bisogno di qualcuno che ti prenda per mano per tirare fuori certi scheletri nell’armadio. Questo è ora di tirarlo fuori, ora che è il momento. Se queste parole sanno di buono, dite grazie ad Andrea. Questo è il mio grazie per lui, che mi ha chiesto di scrivere.]
In Vietnam in realtà non ci sono stata. Non ero io.
Ho lasciato una lettera, sono partita la notte di capodanno, il primo passo verso l’ignoto, nel buio di una notte con poche stelle, uno scalo in Thailandia,l’attesa per entrare in Vietnam, il mio nome che non veniva mai chiamato.
Ad Hanoi ho dovuto comprare una giacca perchè avevo troppo freddo, un’aria gelida inaspettata, il mio zaino preparato sbagliato. Ho imparato a dormire in letti non puliti in stanze senza finestre e ad ascoltare una voce dei ricordi che uccideva ogni giornata.
Nonostante fossi già stata in Thailandia è stato il Vietnam che mi ha messa a nudo, che mi ha fatto capire che quella strada, quella polvere, il troppo freddo, il troppo caldo, i viaggi infiniti, il cibo strano e la vera lontananza da casa… Beh, quella ero io.
Ho amato Dalat e la sua casa pazza.
Ne ho fatto stampare una foto, che ho appeso vicino ad un dipinto che ho comprato a Cuba da un pittore di strada che Gianni ha sempre detto rappresentarmi. Scale che collegano case, un gran casino.
Il viaggio per Dalat è stato assurdo, su un pullman scassato circondata da persone che vomitavano di qua e di là, per arrivare a quella città in cui il parco dell’amore è una delle principali attrazioni e il ricordo più violento era un messaggio che non volevo ricevere.
E poi c’è il lassi, quello al miele, quello di Phu Quoc, il migliore mai bevuto, proprio in quel ristorante indiano vicino a quello che noleggiava i motorini senza casco. Abbiamo pescato di notte e assaporato le giornate con tristezza amara, come un piatto preparato male, che è rimasto troppo tempo sul fuoco. Ho vissuto ogni istante del Vietnam, ne ho assorbito ogni dettaglio. Non volevo tornare a casa. Tutta la vita era sospesa, avevo messo in pausa i problemi, le preoccupazioni, i dolori. Quel mercatino di Saigon dove ho contrattato una scatola intagliata per mia madre, quei bambini all’uscita da scuola, il traffico di motorini che avevo imparato ad affrontare spavalda, come loro, che camminano certi che gli altri li schiveranno.
Era l’unica cosa in cui mi sentivo coraggiosa in quel momento. Schivare le macchine e sperare che una mi centrasse per non dover tornare a casa e prendere in faccia qualcosa di molto più grave.
La mia anima era una baracca di eterernit, su pali di legno troppo sottili. La sensazione che tutto stava crollando.
Amo il pho, quell’ultima zuppa mangiata per strada, saturata di peperoncino che mi bruciava le vene e l’ultima colazione a Saigon, sul tetto di un hotel da cui avremmo dovuto godere di un buon panorama. Invece quello che vedevo era quello che avevo dentro, una fitta e densa nebbia.
Cucino ancora gli involtini vietnamiti che ho imparato a fare al red Bridge a Hoi An, arrotolo la carta di riso e cerco di non romperla. Appena la bagni diventa delicata e si strappa e tutto dev’essere in equilibrio oltre che della quantità giusta. Quand’è l’equilibrio? Quand’è la quantità giusta? Quando dobbiamo fermarci?
Ho lasciato scorrere quelle giornate sperando che finissero prima possibile e mi ancoravo ad ogni istante, pregando che tutto si congelasse.
In un’escursione giornaliera sul delta del Mekong, sotto ad un baracchino in paglia,
ho bevuto il miglior caffè vietnamita mai provato e ho passato ore, quella notte, a guardare dalla finestra le luci di una città che non avrei mai più rivisto.
Ho le foto notturne fatte da quella finestra senza persiane, una luce che mi ricordava quella di Masturzo, sui tetti di Theran. Donne che urlano, io stavo in silenzio. La guerra si manifesta in tante maniere.
Guardo il mio zaino, quello rosa e sempre troppo piccolo che adesso è aperto accanto al mio letto: quella è stata la sua prima strada, inconsapevole che fosse la prima di tante.
Quella persona, che ha fatto il viaggio, è rimasta in Vietnam, si è persa tra l’acqua torbida del Mekong e la polvere di Saigon.
Meglio così.
Vietnam. I pensieri sospesi. Scusateiovado.com by Paola_Scusateiovado on Mixcloud
11 Comments
Non so che Paola hai lasciato in Vietnam, ma so che quella con cui ho passato gli ultimi due giorni è una persona meravigliosa, e io sono felice di averla incontrata <3
15 Giugno 2015 at 15:22CI sono vite che si incontrano nei momenti giusti, nei modi giusti. Piccoli passi dalla diffidenza agli abbracci.
15 Giugno 2015 at 17:00Solo dopo capisci il senso di tutto (e mi sa che abbiamo capito un bel po’ perchè siamo così affini!). A questa Paola, questa Cabiria, le piace proprio <3 Grazie di cuore, per tutto..
Il Vietnam, in poche righe. Attraverso ora un periodo così, buio e confuso, che spero di lasciarmi presto alle spalle in un luogo vicino o lontano. E di avere la meravigliosa grazia di scriverne un giorno, come hai saputo fare tu. Grazie Paola.
15 Giugno 2015 at 15:58C’è una canzone che amo tantissimo, del mio cantautore preferito (dopo Bruce, lui è un fuori categoria e parto a contare dopo di lui).E’ una canzone che parla di vita -lì c’è buona parte della sua – e di amicizia. Tra i ritornelli ci sono queste parole “Because sometimes, you need the darkness,In order to ever see the light” e queste “Because when things, start to unravel, You’re gonna find out who you are.” Tutto passa, e a volte i periodi schifosi servono per essere ancora più felice dopo. Vorrei darti un abbraccio forte. Spero prestissimo.
ps: la canzone è questa https://www.youtube.com/watch?v=dKVhWaqVJyU
15 Giugno 2015 at 17:07… difficile commentare un post cosi “personale”, cosi “di pancia” come tu stessa lo hai descritto. E’ un turbinio di emozioni che con semplici parole riesci a trasmettere a chi ha il piacere di leggerti, parole ed emozioni che ti descrivono come una bellissima persona. Grazie Paola per averci regalato questo tuo angolino di vita.
15 Giugno 2015 at 16:50Grazie a te che hai letto con entusiasmo questo post che è tutto un casino 🙂
15 Giugno 2015 at 17:47Le emozioni a volte si incastrano qua e là e non escono. Ma questo post era troppo per me, per essere lasciato là, in fondo al cassetto. Ti abbraccio forte!
Posso dire bello ? un articolo molto intimo, salti di qua e di la, si capisce che eri confusa, ma anche che ti è servito tantissimo..ed in fondo il Vietnam regala emozioni speciali..
16 Giugno 2015 at 17:28A volte i viaggi servono anche (e soprattutto) a questo: a tornare cambiati, diversi, a volte migliori.
17 Giugno 2015 at 9:18Il Vietnam e i suoi ritmi lenti di sicuro mi hanno aiutata molto… VOi ci siete stati?
un abbraccio
Questi sono i post che cerco, quelli che mi trasmettono quella voglia di leggere fino in fondo, senza staccare gli occhi dallo schermo; cercando di capire un po’ presuntuosamente chi c’è dietro a quella tastiera. Davvero bello.
16 Giugno 2015 at 22:07Mi fa felice… Anche se la persona che ha vissuto quel post era decisamente un disastro e un casino 😉
17 Giugno 2015 at 9:15ti abbraccio
Bel post, belle foto. La prima è splendida.
10 Luglio 2015 at 15:58