[Questo post è rimasto lì, fermo. E’ dall’Etiopia che mi è uscito dalle dita e mi è rimasto incastrato tra un “non lo pubblico” e un “poi c’è gente che si sentirà attaccata” e un “ma che cavolo me ne frega”. Come sempre. ]
Ci sono dei momenti di rottura quando viaggi: posti e giornate in cui senti che un paese o un istante ti hanno colpito nel profondo, o nel punto più debole.
Mi succede quando viaggio in paesi poveri, dove vivere sotto la soglia di povertà è all’ordine del giorno e dove i primi ad essere sulle strade sono sempre i bambini.
Ho visitato quasi 50 paesi, e comunque i viaggi riescono ancora a sconvolgermi nel profondo. Scuotermi e farmi sterzare verso visioni della vita diverse.
E’ una riflessione che faccio spesso, e quando la faccio mi viene sempre in mente un episodio.
Eravamo in India, nel 2013, un giro lungo e faticoso finalizzato soprattutto ai giorni passati al Grande Kumh Mela.
Il primo giorno ad una bancarella ho comprato dei dolcetti: pochi centesimi per un dolce che non mi piaceva, l’ho conservato in tasca e ho pensato “lungo la strada domattina lo do’ a qualche bambino dei paesini che incontriamo andando verso i campi tendati”.
La mattina dopo ho visto un bambino, ho tirato fuori il dolcetto e gliel’ho dato. Nel momento in cui l’ho tirata fuori dalla tasca, si sono aggiunti altri 2 o 3 bambini, così ho cercato di dividerlo.
In tempo zero mi sono trovata con circa 20 bambini di tutte le età intorno che si picchiavano per poter prendere qualche briciola di quel dolce che avevo avanzato.
Ero lì con 40 minuscole mani tese, i più grandi che scansavano i più piccoli che cercavano di raccogliere le briciole cadute, gli altri che mi tiravano per la maglietta, per ogni angolo, frugavano sui miei palmi vuoti per controllare che non ci fosse più nulla. Come sono arrivati, sono spariti.
Sono scoppiata a piangere, sono caduta nel mutismo per una giornata.
Oggi, andando a visitare la tribù dei Dassenech ho provato lo stresso triste disagio: per farsi fotografare vogliono soldi, e così ti ritrovi a contrattare come se fosse il mercato del pesce. Eravamo in 3 a fotografare, abbiamo contrattato 100 birr per fare un po’ di foto, senza stare a contare. Altrimenti ogni foto sono 5 birr, e non c’è modo di scattare altrimenti.
100 birr e potevamo scegliere “quelli da fotografare”: 5 tra quelli in fila.
Ecco, il disagio.
Indicali. Sceglili. Fagli fare un passo avanti così li spostiamo e li puoi fotografare.
Eh?
I negrieri alla tratta degli schiavi, i clienti nelle case chiuse degli anni ’20.
In queste situazioni non mi sento una viaggiatrice, una reporter, una blogger, una sul pezzo.
In quel momento non avevo nessun tipo di curiosità. Oggi volevo essere a casa.
La voglia di viverle certe cose è più grande della curiosità di guardare tutto dallo schermo di un pc, ma quando ti ci ritrovi in mezzo vorresti solo essere lontano da quegli occhi.
Lontanissimo, e non essere tu aver fatto quegli scatti.
E non essere tu quella che i bambini continuano a prendere per mano o tirare per la maglietta per poi fare quel maledetto gesto con la mano: “ho fame, dammi del cibo”.
E tu gli scatti una foto?
Sei lì, la scatti.
Le scatti per ricordo, le scatti perchè sono belle: gli occhi dei bambini a volte sono così profondi che ti ci perdi. A volte sono tristi e languidi, e pieni di mosche. A volte vedi l’allegria semplice che da noi non esiste più.
Ma quindi è giusto fotografarli? E’ giusto condividere le foto di questi bambini? I bambini no, e gli altri sì? Un adulto buttato sul ciglio di una strada è meno peggio che un bambino?
Ma l’Etiopia è questo, l’India è questo.
Quello che mi è rimasto negli occhi dopo l’India è stato latente fino allo schiaffo africano, e queste riflessioni restano sempre nelle dita, sempre per il fatto che se scegli il viaggio, la curiosità e l’avventura vera come stile di vita, non c’è nulla di leggero, non c’è nulla che assomigli ad una vacanza.
Viaggi per prendere consapevolezza. Scatti per prendere consapevolezza.
E quindi?
Se qualcuno non avesse scattato quelle foto prima di me come avrei potuto conoscere tutto questo?
Vai, vedi, scatti. E poi le condividi? O il degrado e la povertà è meglio sospenderle e mostrare solo il bello e il buono che anche un paese devastato sa offrire per non “spaventare” chi osserva?
Ci penso spesso.
Sulla caviglia ho un tatuaggio. Una frase de “le Città invisibili” di Calvino, un libro letto e riletto più volte.
Già dalla prima lettura una frase mi è rimasta incollata addosso: “Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone”.
Noi prendiamo forma dalla vita e dai momenti a cui cerchiamo di far fronte, dai viaggi che ci lasciano il segno violento del loro passaggio e che scegliamo noi, se poi, condividerli o meno.
28 Comments
Bello Paola, bellissimo.
20 Maggio 2016 at 10:31Non aggiungo altro, ma ti abbraccio forte :*
…sei pronta a tutto questo? <3
20 Maggio 2016 at 11:03ti abbraccio forte forte
Mi sono chiesta la stessa cosa, sai? 🙂 Probabilmente non si è mai pronti. O almeno, se si ha un cuore non lo si può essere 🙂
20 Maggio 2016 at 18:30Ho le lacrime agli occhi…
20 Maggio 2016 at 11:02riflessioni bellissime di chi prende il viaggio come un allargamento, infinito, dei propri orizzonti…
i viaggi e le vacanze sono due cose diverse, no? Ti abbraccio
20 Maggio 2016 at 11:03mamma mia…. potente…
20 Maggio 2016 at 11:08come un viaggio in India o in Etiopia, no? 🙂
20 Maggio 2016 at 11:23Anche molti posti in Sud America sono “questo”, come dici per l’Etiopia e il Brasile.
20 Maggio 2016 at 11:14Io ricordo un giorno a San Juan Chamula, in Chiapas, in cui non potevo tirar fuori la macchina fotografica che subito iniziavano le richieste di pesos. Di certi viaggi mi porto nel cuore delle foto pazzesche, che restano lì, solo nel mio cuore. Bel post Paola, grazie per le tue parole.
E’ che se viaggi senza filtri davanti, senza un vetro di un bus o un resort, vuol dire che ti devi mettere in gioco, che devi lasciarti travolgere in qualche modo.
20 Maggio 2016 at 11:24Grazie a te viaggiatrice! <3
Ciao Paola,
20 Maggio 2016 at 12:43mi ricordo quel video che hai pubblicato su fb un po di tempo fa, nel quale, mentre raccontavi cosa stavi facendo li, due ragazzi ti si sono avvicinati, abbracciandoti e mettendosi in posa. Pensando fosse una foto continuavano a dire cinque. Da una parte il video era divertente perchè poi spiegavi che erano completamente ricoperti di sterco e quindi non è che ti piacesse molto la situazione. Ho riso, si. Poi però ho spento il pc e a fine serata mi sono accorta di non aver mai smesso di pensare a quel tuo video. Tanto che ci ho scritto su un post, che poi non ho mai pubblicato, perchè un po come te i pensieri personali, quelli veri e sinceri ci metto sempre un sacco a condividerli e a volte addirittura mai.
E’ giusto fotografarli? Viaggiamo per cercare di entrare in contatto con la cultura del posto, per capire un po di piu di loro, per sapere cosa pensano, cosa fanno. Ci stupiamo un sacco di volte dei loro modi di vivere, di mangiare e di dialogare. E poi torniamo a casa con l’amaro in bocca per le situazioni viste e vissute. C’è qualcosa che non torna mai.
E quel video mi ha fatto riflettere. Quando l’ho visto ero in Asia da 7 mesi e avvertivo un malessere indecifrabile. Spesso uscivo dalla camera solo per nutrirmi e se c’era il sole chiudevo le tende. Depressione? No. Ho sbalzi d’umore,tantissimi, ma la depressione non fa per me. Con quel video ho capito che viaggio per scoprire, ma la realtà è che con te non si apriranno davvero mai, tu sarai sempre vista come “la gallina dalle uova d’oro” e tutto quello che faranno sarà solo per spillarti qualche centesimo. Parlo di posti dove il turismo è già arrivato, li dov’ero io, li dov’eri tu. Il discorso è molto piu apio di così ovviamente. Però si, il turismo è arrivato fino a li e loro hanno capito come sfruttarlo. Fargli le foto, fa solo parte del gioco.
Ecco i commenti che valgono più dei post che scrivo. CI sono dei punti di nausea mentre viaggi, di insofferenza verso situazioni che quando tocchi superficialmente non hanno nessuna influenza sul tuo umore.Poi sei lì, immersa in un posto che non è casa e diventi più vulnerabile. Vorremmo tutti essere esploratori che toccano terre incontaminate, ma ormai non è più possibile, quindi o stai al gioco o… O non viaggi?
23 Maggio 2016 at 17:10E’ difficile stare al gioco a volte.
Ma quel post adesso me lo mandi? 🙂
ti abbraccio forte
Commossa, con un nodo in gola (io che sono anni che parlo di adozione, ma so che in Italia è una cosa quasi impossibile). Io che sono più una turista, che una viaggiatrice, io che x scelta non ho ancora la forza /coraggio, chiamalo come vuoi, di andare a vedere luoghi così lontani da me, così “difficili”. Perciò grazie Paola, xchè so che è stata dura scattare questo foto, ma a volte servono x scuoterci un po’ dal ns. solito torpore e farci vedere davvero il mondo. Grazie per le tue bellissime parole. Monica
20 Maggio 2016 at 13:06Ecco perchè mi piaci, perchè sei onesta, perchè affronti i viaggi che ti senti di affrontare, perchè sei oggettiva.
23 Maggio 2016 at 17:11Arriverà il giorno in cui partirai per una terra davvero lontana da te (non fisicamente!), e lo farai da persona pronta. Che forse è meglio,no?
Ti abbraccio stretta
Potremmo stare ore a parlare di come ci si sente davanti a queste situazioni, ognuno le vive in maniera diversa e nel nostro caso le scrive anche. L’India mi ha dato più schiaffi in faccia dell’Etiopia, ma in fondo ti senti comunque sempre diverso e privilegiato, a me è forse questo che fa più male.
20 Maggio 2016 at 15:34Noi siamo sempre portafogli con le gambe, ma allo stesso tempo abbiamo bottiglie d’acqua sempre piene e un letto pulito che ci aspetta a casa.
Se ti guardi da fuori, è uno schiaffo molto forte e queste sono solo seghe mentali.
ti abbraccio forte
23 Maggio 2016 at 17:20Credo di aver avuto una gran fortuna nella vita “viaggi” partendo dall’Africa e avendo una guida che ai tempi mi insegnò subito tutta una serie di “regole” che mi hanno permesso di non vivere mai la sensazione di smarrimento assurda che hai vissuto tu con i bambini in India. Mi aveva preparata ed educata subito.
” MAI dare qualcosa ai bambini. MAI. Ne accontenti uno, ma ne lasci infelici 1000… E li diseduchi. Loro salteranno la scuola per cercare i turisti”.
Da allora non ho mai dato nulla ai bambini, ma solo ai capi villaggi. Anche se facile, alle volte, non è.
Apprezzo tanto le tue domande, ma per quanto io non sia d’accordo di pagare per fare delle foto, resta il fatto che magari ho appena pagato per andare in quel villaggio. E allora? Che differenza c’è?
Per questo, non credo nell’etica tesa a stabilire il giusto, concetto troppo abusato e soggettivo, ma credo fortemente nel rispetto delle persone e della loro volontà. E là dove delle foto rispettano il volere dei soggetti, che male c’è? 😉
PS: bellissimo leggerti! Scusa se mi sono dilungata!
20 Maggio 2016 at 15:38CIao SImo, aspetto sempre i tuoi commenti. Per l’India ero preparata, evidentemente non abbastanza: ho fatto quel gesto senza pensarci e ovviamente sono stata travolta.
23 Maggio 2016 at 17:24In Africa abbiamo dato sempre tutto ai capivillaggio che – come ci spiegava la guida – hanno poi il compito di dividere. Solo a volte fai le cose con leggerezza e proprio lì, dove resti scoperto, vieni colpito.
Cerco sempre di viaggiare con rispetto, etica, a passi felpati in un mondo non mio… Ma i confini a volte ce li mettiamo da soli.
ti abbraccio forte
Grazie Paola per aver condiviso questi scatti,
20 Maggio 2016 at 16:45grazie per le tue parole.
Grazie a te per averlo letto, evidentemente con il cuore aperto <3
23 Maggio 2016 at 17:05Articolo molto bello che fa riflettere sulla fotografia 🙂
18 Giugno 2016 at 19:09Grazie Mirko..penso che troppo spesso facciamo le cose in automatico, scatti, porti a casa. Ma se ti fermi un attimo e guardi tutto da un’altra prospettiva, certi scatti pesano.
21 Giugno 2016 at 17:38che dici? 🙂
BUona serata e grazie per essere passato di qui 🙂
grazie per questo post. più si fanno esperienze e più ci facciamo domande e restiamo senza risposte. il mondo è pieno di ingiustizie e disparità, con o senza il tuo dolcetto, con o senza le tue foto. lo sappiamo già, ma un conto è saperlo, un conto è viverlo.
5 Agosto 2016 at 11:21un abbraccio
Ciao Lise, scusami mi era sfuggito il tuo commento.
18 Agosto 2016 at 19:07Hai colto appieno il senso di quello che volevo dire: ci indignamo, riflettiamo, ci facciamo mille scrupoli. E poi? tutto continua a muoversi, ugualmente, nella stessa direzione.
Sarebbe bello poter scegliere <3
Paola riflessioni Bellissime! Continua a condividere, non so.o le tue foto ma sopratutto le tue intuizioni i timori le emozioni che ti si muovono dentro. Sono molto fluide e cariche di sentimento. Un gran piacere leggerti. SABY
1 Ottobre 2016 at 15:36Molto bella e forte questa riflessione, a volte per cercare lo scatto perfetto ci dimentichiamo della nostra umanità.
22 Dicembre 2017 at 10:43Viaggiare ti mette alla prova, se non lo fa forse non lo si sta facendo nel modo giusto… che dici?
22 Dicembre 2017 at 11:26un abbraccio
io credo che ci sia molta soggettività in quello che si guarda e si condivide . é tutto un gioco di percezioni.
11 Febbraio 2018 at 21:51Paola ho apprezzato tantissimo questa tua riflessione. Io ci metto giorni per elaborare anche le sensazioni di un weekend in Europa, ho sempre bisogno di tempo al ritorno per finire di vivere il viaggio… posso immaginare la fatica che ti è costato scrivere di queste emozioni, quindi grazie di averle condivise con noi!
10 Marzo 2018 at 16:03