Atlanta è una città di atterraggio e passaggio, che suona con i ritmi del sud e le parole dei discorsi di Martin Luther King, ma ai miei occhi con davvero un basso appeal. Non ci posso fare niente. Quando penso a me negli Stati Uniti, vedo sempre una maglietta che ho comprato a Gianni quando ero a San Francisco, con un profilo degli Stati Uniti e una freccia con una scritta: “west coaster”. Forse amiamo le cose che conosciamo.
Essendoci stata nel 2012, il sud non mi era più familiare, ma adesso mi ci sto reimmergendo ed è bellissimo.
Atlanta prima di prendere il suo nome è passata per Terminus, Thrasherville (ma che diavolo di nome è? Sembra Trashville! E non è il massimo chiamarsi “città spazzatura”), Marthasville, e Atlantica-Pacifica… La cui abbreviazione è diventata… Atlanta! E’ la quinta capitale della Georgia (dopo Savannah, Augusta, Louisville e Milledgeville), ha più di 50 strade che si chiamano “Peachtree” (siamo sempre in Georgia “the Peach state”, lo stato delle pesche), il simbolo della città è una fenice, che rappresenta la rinascita, visto che è l’unica città distrutta da un atto di guerra (bruciata dal generale Sherman, anche se sono rimasti in piedi 400 edifici, quindi non ho capito bene la storia del raderla al suolo). E’ una città di 5 milioni di persone (tanto per capirci, Milano ne ha 1 milione), l’unica al mondo ad aver sfornato due premi nobel (Martin Luther King e Jimmy Carter), ma è una città carina e accogliente con tanti quartierini che sembrano piccoli villaggetti dentro la città. La prima volta che viene conosciuta a livello mondiale è nel 1936, quando Margaret Mitchell ambienta Via col Vento nella capitale della Georgia, dandole così fama imperitura.
Ma forse la parte più importante, se guardiamo ad oggi, è la trasposizione cinematografica del libro, visto che oggi la città sta diventando la Hollywood del sud grazie ai Pinewood studios: tanto per capirci a Fayetteville (poco lontano dalla città) ci sono 34000 metri di uffici e servizi legati alla produzione, oltre a 18 teatri di posa dove sono stati girati tutti gli Hunger Games, per esempio.
Ma vista la dipendenza da serie tv, direi che è il caso di ricordare che le produzioni di Walking Dead e Stranger Things partono da qui. Quindi direi che è una bella fucina.
Perché tutti qui? Perché se fai le cose in Georgia hai un credito di imposta del 30%, che significa che se spendi 10 dollari te ne tornano 3. Non male. Il risultato è che la città si è arricchita notevolmente (anche se spesso non è un bene viste le cafonate che riescono a fare qui in zona, perché in America si sa che il trash non ha mai un limite), ma hanno saputo fare una cosa carina come la BeltLine. Avete presente la High Line di New York, quella vecchia ferrovia trasformata in una passeggiata verdeggiante? Ecco, qui hanno riqualificato 35 chilometri di una vecchia ferrovia, passando in mezzo a quartieri orribili e facendone parchi, zone per correre e piste ciclabili.[qui potete guardare un po’ come si è sviluppato il progetto e com’è carina]
Ovviamente hanno fatto anche un centro commerciale. Vi consiglio di guardare la puntata di Anthony Bourdain sulla città, sia per le cose da mangiare, che per le curiosità (se siete appassionati di stripper e strip club, Atlanta è la città che fa per voi!). Qui potete trovare la puntata e qui la mappa per seguire le sue indicazioni.
Quindi cosa fare ad Atlanta in 1 giorno?
Siamo partiti ovviamente dal museo dedicato a Martin L. King.
Il Visitor Center è un museo bellissimo e ben allestito, entrando sulla sinistra c’è un teatro in cui proiettano un documentario di circa mezz’ora sulla vita di M.L.K.: vi dico solo di preparare i fazzoletti, perché anche se uno ha il cuore di pietra non può non versare neanche una lacrima.
I pezzi della storia, le battaglie il semplice e spoglio carro su cui furono trasportate le esequie.
Ci sono piccoli angoli con i diversi pezzi della sua vita, con interessanti approfondimenti, oltre ad una sala dedicata proprio all’ex presidente Carter (oltretutto ho scoperto solo adesso che è ancora vivo – scusa Jimmy, pensavo fossi ampiamente passato a miglior vita).
Facciamo una tappa anche alla casa natale che purtroppo è in ristrutturazione, quindi non possiamo fare nulla di più che entrare nello shop e guardare le foto della casa all’interno del piccolo shop (entrando sulla destra).
[questa parte la potete saltare: siamo andati a fare un giro nella mia libreria super preferita, Barnes and Noble, dove comprerei tutti – ma proprio tutti – i libri e i giornali, quindi mi limito a sfogliarne una buona parte, leggerne alcuni e comprarne pochi]
All’ora di pranzo scegliamo IL POSTO ASSOLUTO. Se devo davvero fare una classifica dei miei posti super preferiti negli Stati Uniti, questo è quasi sicuramente nella mia top tre: il Vortex. Il parcheggio accanto si paga (5$, maledetti), ma non state a impazzire a cercare un posto auto, fiondatevi dentro il locale.
Partendo dall’ingresso (un gigantesco teschio a bocca aperta), l’ambientazione folle e gothic dice già tutto. E’ un locale Idiot Free. Ho detto tutto. Sul menu (a parte le mille opzioni, anche per quello che riguarda il bere) ci sono anche le diverse indicazioni su come ti devi comportare.
Cito:
Cibo e bevande dall’esterno (mai, mai e poi mai). In caso non te ne fossi accorto qui le vendiamo. Non è un’area picnic. Se sei così folle da tirarle fuori ti saranno buttate nel bidone. E se dici qualcosa ci finisci anche tu.
Rimandare indietro il cibo (se facciamo casino noi, nessun problema).
Sappiamo che gli errori possono succedere, faccelo sapere subito e saremo felici di rimediare. Se hai ordinato una birra, un vino o un superalcolico che non ti piace è davvero un peccato. Noi non distilliamo o fermentiamo nessuno di questi, li vendiamo e basta. Ogni cosa sul menu la prepariamo correttamente, quindi non può tornare indietro perché “semplicemente non ti piace”. Cos’hai? Cinque anni? Hai letto la descrizione sul menu? Cosa sei, un piccolo truffatore o un piccolo lamentoso che cerca gli errori degli altri? Cos’è? Se sei un semplice fiore delicato con un palato incredibilmente sensibile, vedi di prendere qualcosa da dividere con gli altri. Sai, gli adulti.
Leggi il menu (sai leggere no? Sai farlo, no?) . Cerchiamo di fare la descrizione più accurata possibile e se hai domande chiedi ai camerieri. Dai, non farti prendere per il culo.
E via così. Fa davvero ridere, il servizio è ottimo e gli hamburger sono letteralmente favolosi: io ho preso quello con blue cheese e i funghi, è gigantesco con tanto di cascata di patatine (costo circa 10 dollari). Super birre ma abbastanza care. Bell’ambiente, pulito, con un certo humor, servizio ottimo. C’è tutto.
Dopo il pranzo facciamo una passeggiata nel quartiere: nel parcheggio c’è un negozio che da fuori sembra una follia di roba usata, invece è un curioso negozio con un po’ di tutto: dai libri divertenti ai vestiti anni ’60. Uscendo dal locale a sinistra, invece, trovate un interessante negozio di vinili.
Torniamo in macchina in direzione Coca Cola, perché sei ad Atlanta e non vuoi andare alla Coca Cola?
*** Descrizione oggettiva***
Il biglietto di ingresso costa 17$ e ci puoi stare quanto vuoi. Ci sono diverse sezioni, raccontano la storia, ti fanno vedere la cassaforte in cui è custodita la ricetta della bevanda più famosa del mondo e poi, nell’ultimo spazio, puoi provare tutte le (assurde) bevande che la cocacola produce in giro per il mondo. E’ un museo divertente e molto interattivo, puoi aprire cassetti, pippolare ogni cosa.
*** Parere personale***
A me non è piaciuto. Cioè, penso sia davvero una grandissima cavolata anche se hai delle aspettative basse. La parte finale in cui assaggi tutte le bevande (nonostante nel giro di 5 minuti ti rendi conto di aver ingurgitato tipo 40 kg di zucchero in forma liquida) è interessante e curiosa, ma è una roba troppo promozionale in modo brutto. Forse c’era troppa gente (un’invasione oggettiva di ragazzini urlanti). Fatto sta che, nonostante sapessi cosa mi aspettava, sono rimasta davvero un po’ delusa.
Usciti dalla Coca Cola abbiamo fatto un giretto nella zona centrale, il parco centrale, il Centennial Olympic Park (“avanzo” delle olimpiadi del 1996 che non so bene perché avevo guardato con più interesse del solito dall’alto dei miei 13 anni facendomi interessare anche alla canoa – eddai ce lo ricordiamo tutti Antonio Rossi che vince l’oro e che adesso fa cose tipo Ballando con le stelle – e agli anelli di Yuri Chechi), davvero delizioso e simbolo di quella “city in a forest” che è Altanta.
Su questo parco cittadino di affacciano la Coca Cola, il Georgia Aquarium (l’acquario più grande del mondo) e una serie di edifici altissimi.
Il parco è accogliente e molto carino, ed è solo uno dei tanti che popolano la città: tanto per capirci, Atlanta ha 343 parchi, riserve naturali e giardini per un totale di quasi 15 km quadrati. Il più grosso di tutti è il PiedMont Park e fa un po’ da Central park locale.
Con un po’ di amaro in bocca (cioè, in realtà avevamo manciate di zucchero in bocca, l’amaro era un po’ nel cuore), siamo arrivati alla sede della CNN quando ormai non era più possibile fare tour (all’interno c’è un food court abbastanza fornito quindi si può entrare e dare un’occhiata comunque).
L’aver perso un sacco di tempo dentro quella stupida Coca Cola e vedere poi solo l’ingresso della CNN mi ha fatto un po’ mangiare le mani… O forse mi stava solo scendendo il picco di zuccheri.
Continuiamo il tour per la città a piedi, senza grandi highlights, a parte per Gianni la solita tappa alla Philipps Arena dove giocano gli Altanta Hawks, con tanto di statua di Dominique Wilkins, Il suo soprannome era The Human Highlight Film e gli hanno fatto una statua. Quindi anche se uno non capisce una mazza di basket può immaginare la sua portata nella storia di questa squadra.
Solo una tappa culinario – storica prima di cena al celebre Varsity Drive-in, dove mangiare il loro hot dog con tanto di chili e altra roba buttata sopra. Parcheggi, simpatici ragazzi vestiti come Happy Days comanda che ti servono in macchina. Hot dog normale.
Salutiamo Atlanta con una cena da Doc CHey’s Noodle House. Almeno è favoloso.
Atlanta ti dà la sensazione di esserti perso qualcosa, di non averla capita, di non averla mai vissuta abbastanza come local: passeggi per le strade della città con questo strano feeling che tutto sia costruito a prova di turista e che il bello sia sempre da un’altra parte. Forse è una città che va presa con più calma, con i suoi ritmi. Quelli del sud.
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