Vi racconto Detroit, quello che c’è da fare, da vedere, da non perdere, un buon BBQ. Un itinerario denso, intenso. Ma prima lasciatemi raccontare quello che è stato. Un pugno nello stomaco.
Motor City, una storia gloriosa, una rovinosa caduta, uno stato che pesa sulle votazioni, che ha una storia che va raccontata.
La storia di Detroit degli ultimi anni
Il Michigan era uno stato poco popoloso, che alla fine dell’800 ha visto la sua vera rivoluzione: Henry Ford crea la prima vera auto da produrre in “batteria”, accessibile a quasi tutti, ha così dato vita ad una vera e propria esplosione e ha portato a Detroit il centro del mondo dell’epoca, dato che ovviamente la fabbrica della Ford ha attirato una moltitudine incredibile di persone in cerca di lavoro.
Il principale centro dello stato del Michigan ha visto un’evoluzione pazzesca della popolazione: nel 1950 era abitata da quasi due milioni di persone ed era impossibile trovare un alloggio, una casa, un appartamento, un qualsiasi posto in cui stare. Oggi non si arriva ai 700.000 abitanti. Cosa diamine è successo a quella che chiamavano la Parigi del Midwest?
L’avvento dei robot e delle macchine che automatizzano il lavoro hanno creato un alto numero di disoccupati (negli anni ’60 la General Motors utilizzava 25.000 operai per produrre lo stesso numero di auto che negli anni ’90 avrebbe prodotto con 5000, e quindi già qui si capisce quante persone si sono ritrovate a spasso). Ma i problemi erano solo all’inizio.
La crisi del 2008 oltretutto è stata alimentata da un sindaco – Kwame Kilpatrick – accusato di corruzione, falsa testimonianza (ha giurato sulla bibbia che non aveva tradito la moglie con la sua capa del gabinetto, salvo che poi è saltato fuori tutto… E si sa, su queste cose gli americani sono pesantissimi), ostacolo alle indagini, truffa, riciclaggio e abuso d’ufficio (ha licenziato due impiegati incaricati di coprire le sue scappatelle e altre “cosine”).
Le case automobilistiche sono in crisi e devono implorare all’amministrazione Obama di aiutarli con i debiti, lo stato del Michigan commissiona la città di Detroit, nessuno paga più le bollette, il trasporto pubblico è all’osso, la gente scappa, la quantità di case abbandonate è mostruosa.
Nel 2013 la città dichiara bancarotta, perché non riesce a pagare un debito di 19 miliardi di dollari.
La città è quasi completamente nera, se guardate il costo delle case fuori da downtown non si può credere ai prezzi mostruosamente bassi (case intere per 9000 dollari), sono quelle che sono rimaste in piedi, dato che moltissime sono state distrutte, perchè ormai in pezzi. Ed è stranissimo passare per i quartieri e vedere infiniti lotti di terra ai bordi del centro che sono solo prati, con qualche casa deserta a fianco.
Forse siamo abituati a vedere case ovunque, soprattutto nelle grandi città.
La città è come un gigantesco gruviera, con tanti buchi e tantissime domande che rimangono sospese.
Ma il gruviera è buono, intorno a quei buchi.
La città – che a differenza del pensare comune – non è la più pericolosa degli Stati Uniti, anzi.. ha un’anima, e personalmente l’ho trovata bella. Non so, ha toccato alcune corde, mi sto chiedendo se mi ha fatto l’effetto di un gattino maltrattato. Ha qualcosa di intenso, violento. Ha quasi un magnetismo unico.
Continuo a pensarci. Non con il romanticismo che mi lega a Milwaukee o a San Francisco: è come quel ragazzo dei bassifondi che ti bacia inaspettatamente, lo respingi, ma ti rendi conto che quel bacio ti ha fatto venire i brividi.
Quindi, dopo questa premessa. Cosa ne dite se vi porto in giro per la città?
L’itinerario a Downtown
Il nostro giro è cominciato a downtown, ovviamente:
1– The one Campus Martius shopping Mall
Ok, sembra strano che siamo partiti da qui, ma questo centro commerciale ha dentro la più grande cascata “all’interno” del mondo, e devo ammettere che è stupenda.
All’ingresso oltretutto c’è un Tim Horton (il Dunkin Donuts canadese ma di qualità). Ok, le impiegate sembrano appena uscite da una crack house, ma sono comunque buonissimi.
2- The Z: è un parcheggio. Ok, dopo il centro commerciale il parcheggio. No, non sono impazzita. Questo storico parcheggio alto 10 piani nel quartiere degli affari della città, è in realtà uno spettacolare museo a cielo aperto, creato da 27 artisti provenienti da tutto il mondo. Il parcheggio e il vicolo accanto, sono letteralmente spettacolari. Le opere d’arte racchiudono spesso anche riferimenti alla città, e ai motori. Fondamentalmente un museo in cui puoi guidare… Poteva esserci solo a Detroit!
3- Detroit Opera House: proseguendo sulla Brodway si passa accanto al palazzo dell’Opera. Da fuori è davvero un gioiello.
4- Belle Island Park. Conosciuta semplicemente come Bell Island è un’isolotto sul fiume che divide gli Stati Uniti dal Canada.Ospita un acquario, il Nature Center, un Boat Club e addirittura un campo da golf. E’ molto carina e da vedere la James Scott Memorial Fountain. E’ un’isoletta pacifica dove la gente va a farsi un pic nic in spiaggia o una nuotata, è tranquillissima e davvero super carina. Anche solo per farci un giretto in macchina. Assolutamente ne vale la pena.
5- The Heidelberg Project. Nel quartiere McDougall-Hunt (zona est), appena sopra la zona della “black bottom” (devo specificare la predominanza afroamericana di questa zona?), nel 1986 Tyree Guyton, dopo aver trascorso lungo tempo nell’esercito, tornando a casa rimise shockato vedendo quanto fosse deteriorato e degradato il suo quartiere. Così, su consiglio del padre che suggerì un intelligentissimo “è meglio prendere in mano un pennello che una pistola”, ha cominciato a dipingere una casa a pois e poi creare installazioni e opere d’arte con tutto il materiale di recupero trovato nelle case abbandonate.
Nel tempo alcune parti sono state demolite dal comune, altre sono finite in cenere: ma il progetto resiste al tempo, alla stupidità, al degrado. E’ strambo, colorato, a volte un po’ inquietante, però è vivo, vitale, colorato, bello nella desolazione grigia di quartieri un po’ lasciati a sè stessi.
6 – Michigan Central Depot (MCS, o Michigan Central Station). Ok, si può vedere solo da fuori, ma questa struttura GIGANTESCA è davvero incredibile. Una stazione attiva per quasi un centinaio di anni (è stata aperta nel 1914 dopo che l’altra stazione era bruciata, ed è stata aperta ancora incompiuta) e chiusa nel 1988. Un deposito dei treni e un palazzo di 13 piani e 70 metri di altezza. Al momento della sua costruzione era la più alta del mondo. Nel 2018 è stata acquistata dalla Ford Motor Company per un gigantesco progetto di ristrutturazione.
Le foto di qualche fotografo a caccia di rovine sono da togliere il fiato: all’interno è una maestosa cattedrale. Quindi, incrociamo le dita e speriamo che il progetto vada a buon fine e torni a brillare come un tempo.
Aperitivo e cena: per l’apertivo (oltretutto conoscete questo sito che vi trova tutte le offerte degli aperitivi? E’ una figata!) seguendo vari consigli e guardando il prezzo abbiamo fatto tappa al The BOX. Ambiente molto carino e vino e birra a 3 $ fino alle 7. Abbiamo preso anche due tacos e dei totani fritti ma era tutto abbastanza immangiabile. Quindi mi chiedo veramente come possano averlo eletto a uno dei migliori posti per l’aperitivo. Se avessi pagato il doppio del prezzo per i totani, credo avrei urlato.
Ci siamo rifatti con la cena: The Slow BBQ è letteralmente ATOMICO. Le costine sono da 10 e lode e abbiamo scelto di prendere anche un panino col pollo. Sembra una scelta infelice in uno posto in cui fanno le costine spaziali. E invece The Yardbird è uno dei panini più buoni, cicciosi e formaggiosi che io abbia mai mangiato. Pollo amish affumicato, funghetti, cheddar e bacon affumicato con legno di melo. Vi assicuro che merita una tappa a Detroit solo per quello. (12 $ il panino e 17 $ mezza rack di Baby back ribs. Lo so, è un po’ caro ma ne vale la pena.
La seconda giornata è stata decisamente intensa e a ritmi serratissimi.
1- Prima tappa al Detroit Institute of Arts. Andateci, davvero. Se vi interessa l’arte, andateci. Se non vi interessa, andateci lo stesso. Anche solo per farvi raccontare il murales di Diego Rivera che occupa un’intera sala ed è quanto di più maestoso e affascinate lui abbia prodotto (parere mio). E’ ricchissimo di pezzi di tutte le provenienze, dall’arte europea, ai fiamminghi, ai pezzi afro americani. La storia di questo museo è abbastanza curiosa, perché ha rischiato di essere venduto per pochi soldi.
2- Greenfield Village e Henry Ford Museum of American Innovation.
Premessa: il biglietto cumulativo costa 50 $ e oltre a queste due attrazioni include anche la visita alla fabbrica di furgoni della Ford (una tamarrata epica, ma poi vi spiego). Costa tanto? Sì, accipicchia. Li vale?
ASSOLUTAMENTE Sì. Veramente. Il Greenfield Village, un museo a cielo aperto inaugurato nel 1933 (il primo dei tantissimi in giro per il paese:solo noi ne abbiamo visti almeno 3 o 4, da Lubbock allo Stuhr Museum of the Prairie Pioneer in Nebraska), per mostrare lo stile di vita dal 1800 a oggi, con tanto di persone che raccontano (in costume), la vita dell’epoca.
Quindi puoi entrare una casa e trovare una che cuoce del bacon o quella che cuce cappellini.
Ma le figate non finiscono qui, perchè oltre ad un favoloso treno a vapore, per 7,5 $ si può fare un giro sulla famigerata Model T, la macchina che ha cambiato (è stata prodotta tra il 1908 e il 1927) la storia degli spostamenti.
Per chi è incuriosito dalla scienza, c’è anche la riproduzione del complesso di Menlo Park (New Jersey) di Thomas Edison, con tanto di spiegazione del primo registratore/grammofono.
C’è il negozio di biciclette dei fratelli Wright (acquistato e spostato da Henry Ford nel 1937 da Dayton), nell’Ohio e la casa natale di Henry Ford stesso.
Insomma, la bellezza e lo stato di conservazione sono letteralmente sbalorditivi.
L’ Henry Ford Museum of American Innovation è assolutamente imperdibile: troverete da una gigantesca locomotiva, alle storiche macchine dei presidenti americani, aerei, l’autobus di Rosa Parks e addirittura il modello della Dymaxion House, l’unico al mondo sopravvissuto.
Non so voi, ma io non avevo mai sentito parlare di questa casa.
Pensata nel 1946 (per me è pazzesco, sembra una produzione anni ’70) da R. Buckminster Fuller come “casa del futuro”, aveva l’obbiettivo di essere la casa più forte, leggera ed economica mai costruita. Rotonda, tutta ad incastro, è stata in realtà usata da una sola famiglia (che ci ha vissuto per anni), ma che l’ha trovata così scomoda da doverci attaccare un pezzo di “casa vera” di fianco. Decisamente un fiasco, ma una storia davvero curiosa.
3- Tappa rapida al John K. King Used & Rare Books, un edificio di 4 piani ripieno di libri usati, storici, vecchi e basta, dai prezzi più svariati. All’arrivo vi daranno una mappa per raccapezzarvi.
La fortuna è stata che non avevamo tempo, altrimenti finiva davvero male.
E’ una libreria storica, bellissima, ordinata e in cui ti senti sommerso di libri, all’ingresso troverete dei libri gratis. Insomma, anche se ve ne frega poco dei libri, passate a dare un’occhiata. Chiude abbastanza presto (17:30), quindi calcolate bene i tempi.
4- Motown. Tappa musicale assolutamente imperdibile. La celeberrima casa discografica soul, che è stata “casa” per artisti come Michael Jackson, Marvin Gaye e Steve Wonder è davvero interessante: forse avevo aspettative un po’ alte (dopo aver visitato la Stax di Memphis che è GIGANTE e un museo infinito), ma devo ammettere che mi è piaciuta. Una cosa curiosa: la visita è guidata, e l’ultimo pezzetto della visita è nel vero e proprio studio di registrazione.Ci sono dei leggii, ti insegnano due mosse e poi… canti! Il testo di My Girl (dei The Temptations) lo sa davvero chiunque! Quando hai finito, sei lì, sorridi e pensi che in quello studio, tra quelle pareti, hanno rimbalzato la voce di cantanti davvero storici… Beh, ti vengono un po’ i brividi.
Per cena abbiamo optato per una tappa fuori porta a mangiare quello che è considerato uno degli hamburger più buoni degli Stati Uniti: ok, sono 20 minuti di macchina, ma la Redcoat Tavern a Royal Oak merita una tappa. Sia per il panino che per vedere la diversità assoluta dei quartieri più lontani, quelli bianchi, quelli oltre l’8 mile.
[oltretutto sapete cos’è l’8 Mile? E’ una strada che storicamente divide nettamente i quartieri bianchi da quelli neri, e quindi i ghetti più malfamati da quelli “per bene”. Passandoci mi sono chiesta se la distinzione fosse ancora così netta e se fosse ancora così]
La mattina seguente abbiamo finito il giro all’Henry Ford Museum, visitando la vera e propria fabbrica: prima di entrare nello stabilimento si passa per due sale-cinema: la prima che racconta la storia di Mr Ford, la seconda invece… E’ la più grande tamarrata epica che possiate vedere! E’ la presentazione di come nasce e viene creato il pickup che assemblano in stabilimento, con tanto di luci stroboscopiche, faretti, vento finto e robot che fan finta di montare. Queste cose mi fanno molto ridere, ma ogni volta penso che gli americani ci sanno davvero fare quando si devono promuovere.
Concludendo.
In tanti mi avete scritto “ma perché sei andata? Non è pericolosa?”, e a me viene d’istinto rispondere “non più di tante altre città che non hanno una così pessima fama alle spalle, come Memphis”.
E’ più la sensazione che ti dà: quello stato di abbandono, di desolazione di alcuni quartieri. Il centro è vivo, vitale. Si sta risollevando, dategli tempo.
Detroit merita una visita, perché va vista, perché è un pezzo di storia, perché è bella in modo insolito e dannato. E a volte sono le città così che ti sanno colpire il cuore.
VI lascio qualche consiglio da leggere e soprattutto ascoltare:
1- Francesco Costa (lo seguite il suo podcast “da Costa a Costa”, vero?): ha raccontato le elezioni di Trump durante la campagna elettorale. E’ un giornalista favoloso e molti spunti di approfondimento li ho presi da lui.
Vi consiglio questi due podcast, uno sul Michigan e Detroit, l’altro su Flint e tutto quello che è successo tra crisi e acqua tossica.
Ascolta “S2E5. Ho bevuto l’acqua di Flint” su Spreaker.
Ascolta “S2E4. Capire il Michigan per capire l’America” su Spreaker.
2- Documentari: Detropia. Vi avviso, è noioso. Ma è davvero interessante
Flint Town. Una serie decisamente interessante sul degrado e i problemi di una delle città più ricche d’America che è diventata la più povera e pericolosa
3- Film: 8 Mile. Il celebre film di Eminem ha sullo sfondo una Detroit che diventa uno dei protagonisti del film (e c’è l’interno della stazione in una scena)
Detroit (regia di Kathryn Bigelow) ambientato nel 1967, racconta la famosa strage del Motel Algiers, nel periodo di massima tensioni tra bianchi e afro americani.
6 Comments
Quanti spunti! Bene, ho inserito ufficialmente Detroit nella mia bucket list.
25 Settembre 2018 at 15:01La Detroit che avevo in mente io era appunto quella di “8 mile” o la città degradata di “Solo gli amanti sopravvivono”.
Invece ha un’anima decisamente interessante, curiosa, brillante… Vale decisamente la pena!
26 Settembre 2018 at 12:07Ho letto con molto piacere il tuo racconto di viaggio perché parla di una città fuori dai consueti itinerari turistici. Il Greenfield Village è stupendo e penso che sia molto interessante visitare una Detroit che cerca di ritrovare un’anima dopo un periodo di profonda crisi economica.
2 Ottobre 2018 at 12:57E’ sempre tagliata fuori da qualsiasi itinerario turistico, ma ne vale decisamente la pena: mi piacciono le città che hanno un’anima, una storia (bella o brutta eh!)…
4 Ottobre 2018 at 9:17E comunque l’Henry Ford museum (e in particolare il Greenfield!) sono una figata pazzesca!
Devo dire alcune cose:
2 Ottobre 2018 at 22:35-Io adoro questi viaggi che fai e mi verrebbe voglia di partire immediatamente per posti come questi, strani, ambigui, di quelli che ti attirano da pazzi in una maniera quasi morbosa. Dopo questo post andrei a Detroit ora!
-The Z è fighissimo, avrei fotografato veramente ogni centimetro!
-The Heidelberg Project è troppo ganzo! Mi ricorda un po’ i musei strani pieni di accozzaglie improponibili che si trovano in Nuova Zelanda 🙂
-Ho solo un appunto per questo post, per il quale sono molto delusa: le foto del Greenfield Village sono troppo poche!! Io volevo vedere tuuuuutto! 😀
No beh, il Greenfield è stata una vera figatissimaaa! E’ stato Gianni a trattenermi dal fare tutto (però non gli perdono il non aver fatto un giretto sulla Model T!)..
4 Ottobre 2018 at 9:15Comunque è inutile raccontare che Detroit è tutta bella infiocchettata, perchè non lo è. Anzi, è ben lontana.
Ma forse, come dici tu, il suo fascino “sporco” è quello che ti attira di più 🙂