Se chiudo gli occhi e penso all’Alaska devo ammettere che le immagini che tornano sono sempre le stesse: renne, cuccioli di cani da slitta (sled dogs) e il Denali.
Cioè, una fanatica del Natale come me non potete capire che gioia ha provato giocando e dando da mangiare alle renne e scoprendo che le alci sono gigantesche.
Questo è forse uno dei pezzetti più belli del nostro viaggio in Alaska, e guardando le foto, capirete anche perchè.
Siamo partiti da Anchorage abbastanza presto, perchè la strada per Palmer è lunga – ma soprattutto – ha tante tappe.
Appena fuori città ci fermiamo all’Eklutna Village Historical Park, quello che la Lonely Planet definisce uno dei più interessanti siti della regione dal punto di vista antropologico, in quanto testimonia la difficile unione tra le culture russa ortodossa e atabasca.
Allora… Sì, è interessante, ma diciamo che è veramente minuscolo e delle visite guidate (e di anima viva) non c’era traccia. Curiose le casette degli spiriti, un ricco cimitero colorato che ravviva il sito decisamente un po’ tetro.
Partendo da lì siamo arrivati Iditarod Trail Sled Dog Race, a Wasilla. Oltretutto, non so se tutti lo sanno, ma questa cittadina (davvero molto più grande di quanto mi aspettassi) è quella in cui è stata sindaco a lungo Sarah Palin (sì, la ex candidata a vice presidente dei repubblicani e ultra conservatrice presa in giro praticamente da chiunque per la sua totale e assoluta impreparazione su tutti i fronti). Vi consiglio ancora una volta Francesco Costa, che racconta come un personaggio come lei abbia aperto le porte a Trump.
Ma torniamo a Wasilla. Il museo è davvero interessante (cioè, è un negozio con un pezzo di museo, ovviamente gratuito), soprattutto perchè se avete tempo dovete fermarvi a guardare il documentario che riguarda proprio l’Iditaroad. Mi sono sempre chiesta che sforzo sovrumano devono fare questi cani per correre così tanto, dormire poco e stare a quelle temperature.
In realtà ogni tot chilometri un team di veterinari visitano tutti i cani, gli stop per dormire sono obbligatori e la dieta è sostanziosa. La cosa che comunque mi ha sbalordito davvero di più è che questa razza di cani è davvero fatta per correre: sono letteralmente instancabili. Anche dopo 1800 chilometri (percorsi in circa 10 giorni tra paesaggi mozzafiato e temperature polari) hanno ancora voglia di correre.
Il lavoro di squadra dei cani e l’affiatamento con l’uomo sono davvero affascinanti.
Questa gara nasce ispirata dall’impresa del cane Balto e del guidatore di slitta Leonhard Seppala, che nel 1925 organizzò una staffetta lungo la via dell’Iditarod per trasportare dei medicinali per curare una epidemia di difterite a Nome.
Si gareggia con una slitta trainata da un massimo di 16 cani (oltretutto sapete che ogni cane ha la sua posizione e il suo ruolo?) e bisogna portarne al traguardo almeno 6 (di solito si finisce con 8-10 cani). Lungo il percorso ci sono 27 tappe dove i partecipanti sono obbligati a firmare un registro (ma in cui non sono obbligati ad accamparsi): nelle strutture di ricovero possono lasciare gli eventuali cani feriti o troppo stanchi, affidandoli ai veterinari (che comunque controllano i cani di continuo). Le soste obbligatorie sono tre: una da 24 ore e due da 8 ore, da dichiarare ed effettuare in presenza di un ufficiale di gara. Negli anni sono diventati sempre più scrupolosi, per esempio adesso tutti i cani portano “i calzini” per proteggere le zampe a contatto con la neve e il ghiaccio per tutta la gara.
E’ un mondo che era davvero sconosciuto per me e mi ha incuriosita davvero moltissimo. Poi, ovviamente, quando ho preso in braccio un cucciolo di sled dog non ho capito più niente, volevo solo metterlo nella giacca e scappare. Giuro.
Appena fuori dall’headquarter si può fare un giro su una specie di quad trainato da cani, ma ho decisamente lasciato perdere.
La tappa successiva è stata fortissimamente voluta… Da me. A Palmer c’è una fattoria/allevamento di renne, dove puoi stare con loro, dargli da mangiare e vedere anche alci, cervi e altre creature meravigliose che riempiono il nostro immaginario di magia durante l’inverno (sì, ok, non posso farci niente, tutto il mio mondo è condizionato dall’arrivo del Natale appena le temperature si abbassano di qualche grado).
Quindi per 10 $ hai la visita guidata e puoi entrare nel recinto con loro, dargli da mangiare, giocare e toccare quelle corna pelosette. C’è anche una gigantesca alce e un piccolo cinghiale nero che ha voglia di farsi grattare la testa da chiunque. Merita una tappa, davvero.
Siamo arrivati a Palmer, ma non prima di aver fatto una tappa alla Arkose Brewery, un birrificio artigianale dalle birre davvero buonissime.
L’hotel in cui abbiamo dormito era… ehm, diciamo… curioso. Sembra gestito da persone un po’ fatte di crack in un ambiente post atomico… Però erano tutti molto carini. Abbiamo chiuso bene bene la porta (dopo aver chiesto un termosifone o qualcosa che ci potesse scaldare… Perchè nonostante i 12 gradi non c’era).
La mattina dopo siamo partiti di buon’ora per attraversare l’Hatcher Pass, e arrivare poi a Talkeetna.
Il passo è qualcosa di davvero spettacolare: il paesaggio è tutto quello che ti puoi aspettare dall’Alaska messo insieme: ghiacciai, montagne, verdi radure, panorami pazzeschi, un’antica miniera abbandonata.
La miniera è la Independence Mine State Historic Park, un piccolo mondo che quando ha smesso di “produrre” oro, è stata abbandonata al suo triste destino. Era come una piccola città incastrata tra affascinanti vallate, ora collassata su sé stessa. Ma la sua storia era decisamente splendente.
Quella che oggi si chiama Independence Mine, prima erano due distinte miniere: l’Alaska Free Gold (Martin) Mine su Skyscraper Mountain e la Independence Mine su Granite Mountain. Nel 1938 le due furono acquistati insieme sotto una compagnia, la Alaska-Pacific Consolidated Mining Company (APC). Su un terreno di circa 5 km, nel 1941 vennero estratti quasi 1000 kg d’oro. In quell’angolino remoto vivevano 22 famiglie in quella che veniva chiamata Boomtown e addirittura 8 bambini frequentavano la scuola.
Purtroppo con l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, l’estrazione dell’oro non era ritenuta fondamentale, e nel 1943 fu ordinata la chiusura della miniera.
Nel 1946 riaprì a fatica, ma imposero un prezzo di 35 $ l’oncia (tanto per capirci, ad oggi il prezzo è $1,224.85 per oncia) da vendere solo allo stato, quindi l’estrazione non fu più un’impresa redditizia. Alla fine, nel gennaio del 1951, dopo aver estratto oro per quasi 6 milioni di dollari, l’Independence Mine fu chiusa dall’APC, e un capitolo della storia delle miniere d’oro dell’Alaska si concluse. Nel 1974, la Independence Mine fu inserita nel National Register of Historic Places ed è rimasta così, dimenticata ed immobile nel tempo fino ad oggi.
La strada che dalla miniera porta a Talkeetna è qualcosa di davvero memorabile.
Siamo arrivati a Talkeetna per l’ora di pranzo, e questa vivace cittadina un po’ stramba e colorata è davvero carina, se non fosse che è brutalmente invasa dai turisti che sbarcano senza sosta dalle navi da crociera. Avrei voluto fermarmi per la cena, quando si dice la gente locale comincia ad uscire (nel momento in cui i turisti se ne vanno), ma purtroppo dovevamo andare al Denali e quindi la nostra visita si è limitata ad un pranzo adorabile da Talkeetna Roadhouse, un posticino storico dove tutti si siedono insieme in questi lunghi tavoloni, il chili è pesantissimo ma buono e i dolci deliziosi (e giganti).
Oltretutto, Talkeetna, è famosa per essere quel piccolo paesino in cui il sindaco, fino a luglio 2017, è stato… Un gatto.
Stubbs è stato candidato nel 1998 quando un gruppetto di residenti delusi dai candidati in lista, scelse lui per rappresentarli… Peccato che venne eletto all’unanimità, mentre per scherzo tutti hanno scritto il suo nome sulla scheda elettorale. E quindi, questo bel gattone rosso dalla sua poltrona comoda dentro il Nagley’s General Store, veniva coccolato da praticamente ogni viaggiatore e turista.
E’ turistica, ma davvero molto carina, un posto un po’ stravagante che ti aspetti di trovare dopo chilometri di nulla.
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