Vince il letto. Anche se sono in Giappone vince il letto e la sveglia alle 7 salta nonostante la prenotazione dello Shinkansen in mano per andare a Nikko. Templi vs nanna, 0 a 1. Pigramente ci alziamo alle nove e cambiamo il percorso optando per un giretto nella lussuosa Ginza, il quartiere più elegante della città dove i centri commerciali si sprecano e dove il rito della “Ginbura”, il passeggio nei viali del quartiere, dove vetrine di marchi costosi ipnotizzano bamboline artefatte firmate dalla testa ai piedi. Non me, che cerco solo uno Starbucks o almeno un caffé del McDonald’s. Sarò noiosa io ma la trovo “carina”, certamente piacevole, scintillante e non pacchiana (ehm, a Shanghai c’é un palazzo di Louis Vuitton interamente ricoperto di strass… Una cosa fine insomma!), non nel mio stile, preferisco le cose un po’ piú colorate e vitali.
Nel quartiere, si trovano prevalentemente negozi, mall e atelier ma anche qualche museo marginale e piccole esposizioni. Una di queste é il Leica Ginza Salon dove andiamo a curiosare le vecchie macchine fotografiche tanto care a Terzani (che oltretutto sono in vendita a prezzi esorbitanti) e troviamo un’esposizione di… Alex Majoli! Il celebre fotografo della Magnum é anche qui! Le foto sono splendide anche se non adatte a tutti i palati, ma forse il mio giudizio non vale perché ho una passione speciale per lui.
Non troppo lontano c’é anche il Sony Building, per una donna sono 6 pesantissimi e noiosissimi piani di tecnologia proiettata al futuro, schermi piatti, pc e bettolini che per me significano ben poco. Però potevi far incidere dei coloratissimi lettori mp3 o prenderli giá con sopra il monte Fuji o una gheisha. Purtroppo questo é tutto quello che mi ricordo. Aggeggi super colorati e custodie pelosette per gli stessi. Mi dispiace per gli uomini in lettura.
Sembra paradossale ma Ginza é un buon posto dove trovare sushi a prezzi abbordabili nei piani interrati dei grandi magazzini, dove ci sono piccoli angoli dove vendono bento con sushi, supermercatini in cui il banco frigo é pieno di vassoietti di pesce fresco. Girando girando nel centro commerciale piú vecchio del pianeta, il Matsuzakaya (pare abbia 400 anni) troviamo un bel vassoio da 24 pezzi a 15 euro… Onesto e soprattutto buonissimo! Il prezzo di quello contrasta follemente con la frutta che si trova nel banco di fronte… Carissima! Allora: dopo aver girato un po’ e aver trovato anche frutta a cifre accessibili e aver capito che quella era frutta sceltissima di prima qualitá ammetto di esserci rimasta di ghiaccio e aver avuto il terrore di dover spendere migliaia di euro per la mera sopravvivenza nei 15 giorni giapponesi.
Per dare un’idea: 6 (e dico 6) mandarini (meravigliosamente incartati e dentro una bella scatola ma SEI MANDARINI) 35 euro, una piccola anguria 25euro, un melone circa 40euro, un cestino con un melone, una mela, un pompelmino, un mandarino e un limone 80 (porcavacca) euro. In quel momento mi é venuta in mente mia madre che quotidianamente si incavola perché compra la frutta e io la lascio marcire preferendo sempre e solo verdura da buona capretta (soprattutto i mandarini e la loro puzza che per troppa gente é profumo). Credo mi soffocherebbe nel sonno. Con un pompelmo.
Usciti dal super mall cerchiamo una panchina o un parco dove gustarci al sole il tanto bramato sushi ma mi é caduto l’occhio su una locandina raffigurante il celeberrimo quadro di Vermeer “la ragazza con l’orecchino di perla”, seguiamo le indicazioni e in questo anonimo palazzo veramente non segnalato capisco (se non scrivono in caratteri occidentali é davvero dura!) che c’é un’esposizione ma io fatico a capire e soprattutto a crederci dato che lui é in assoluto uno dei miei artisti preferiti e per cui piú di una volta ho pagato l’entrata a un museo solo per vedere un quadro. Per chi non conoscesse l’artista, é un pittore fiammingo che in tutta la sua carriera, essendo piuttosto meticoloso e precisetto, ha prodotto una cinquantina di quadri in tutto e trovarne 37 tutti nella stanza mi ha fatto davvero rischiare un infarto. All’inizio non riuscivo neanche a crederci ed ero perplessa, ho controllato che non fosse una mostra di falsi d’autore ma… Erano tutti lí, tutti veri… credo che se fossi stata un cucciolo mi sarei fatta la pipí addosso. Altro che sindrome di Stendhal, quella era gioia pura… Vermeer é Vermeer. Siamo stati dentro la mostra non so neanche quanto tempo, con questo sacchetto della spesa di sushi in mano (per la cronaca, per fare in modo che non si sciupi la signora che ti incarta il tutto, attacca alla scatola di plastica delle bustine di ghiaccio, in modo da mantenerlo fresco), io che saltellavo di qui e di lá indicando tutto col dito e fregandomene brutalmente di tutti i giapponesini in visita, sono stata un tempo davvero indefinito davanti ad alcune opere… Peccato che fosse tutto in giapponese, no brochure, no didascalie, nulla… Ma per fortuna è uno di quegli artisti di cui so anche il colore dei calzini. L’audioguida era un ipod touch mini che, dopo aver finito il giro, bastava lasciare in un angolo… Ammettiamolo, in Italia se lo sarebbero intascati 2 su 3. I giapponesi sono strani e hanno diverse cose che mi lasciano perplessa, ma almeno sono meravigliosamente onesti.
Splende il sole e continuiamo ad andare a caccia di hanami, e uno dei posti piú estesi in cui farlo è Ueno. La zona di Ueno Kōen, la collinetta che è stata il primo parco pubblico di Tokyo è chiaro che non piace all’autore della LP perchè sottolinea fortemente come non sia il miglior parco di Tokyo, anche se il più frequentato. Invece a me é piaciuto! E alla grande! Ed è proprio quello che avró visto milioni di volte tra le immagini di Tokyo, centinaia di persone con il naso all’insù che vivono totalmente il momento magico, totalmente immersi in quel rituale collettivo che non ha nulla di simile in nessun angolo del pianeta. Ueno è una delle zone tradizionali di Tokyo, dove si trovano 7 musei (tra cui il Tokyo national museum), vari tipi di templi e uno zoo. È stracolmo di gente! Ai lati di questo enorme viale si possono vedere gruppi di ragazzi, famiglie con bambini, uomini in giacca e cravatta, qualche cosplay, molte lolita e infinite bamboline dai capelli color miele, davvero ogni tipo di giapponese… si beve, si mangia, si fanno quasi tutti fotografare allegramente senza nessun problema, sorridono, si mettono quasi sempre in posa con le dita a V, sono belli. Sono tutti strani e amano stare nel loro mondo senza invasioni ma la loro gentilezza innata li fa amare ancora di più. E poi i ciliegi… Mi sono accorta in men che non si dica di essermi pesantemente intrippata con la sakura, davanti ad ogni pianta, anche dopo averne viste centinaia, piene di fiori di diverse tonalità (ce ne sono tantissime razze diverse e in alcune città, per esempio Osaka, si trovano addirittura mappe di alcune zone in cui sono indicati tutti i ciliegi, con il dettaglio delle diverse tipologie di pianta e di fiori diversi), mi ritrovo a fare “oooooohhhh” come loro e a scattare centinaia di foto che sono uguali a centinaia di altre foto già fatte. Se non ci sei in mezzo si fa davvero fatica a capire, rileggendo le mie parole mi sento un po’ sfigata e molto shakesperiana nel cantare le lodi di questo evento, ma è davvero da vedere almeno una volta nella vita.
Scendendo verso il lago si trovano tantissime bancarelle per mangiare qualcosa, ma i prezzi sono proporzionati allo stipendio medio di un tokyese che si aggira intorno ai 4000 euro, e quindi: zucchero filato? 500 yen. Una pannocchia? 500 yen. Una porzione di noodle alla piastra? 500 yen. Mi fa anche piuttosto ridere perché 5 euro é il prezzo standard per tutto! Però… 5 euro per una pannocchia che in Cina paghi 30 centesimi mi scoccia un po’ spenderli.
Giriamo intorno al kitchissimo laghetto in cui per la modica cifra di 7 euro per una mezzoretta, si può noleggiare una barchetta a pedali a forma di cigno. Cioé, un cigno di plasticone (5 euro se si opta per la macchinina o per una romantica barca a remi)! Mi cadete su una cosa cosí trash?! Dai… L’ultima volta che ho visto una cosa del genere ero in Vietnam, nel parco dell’amore a Dalat, dove si mischiavano riproduzioni di tori, Doraemon, funghi giganti a forma di cuore e, appunto, si poteva noleggiare una barchetta a forma di cigno (in una vallata spettacolare che sembrava l’eden, rovinata dal poco gusto dei vietnamiti).
Bello. Comunque davvero bello. Torniamo a Shinjuku per la cena, vaghiamo incerti se farci un hamburgher o qualcosa di simile senza particolari voglie di cibo, attirata da un maiale che ride mentre zompa sopra una ciotola di ramen, mi faccio convincere in un istante dal fatto che il posto fosse molto poco per stranieri, senza tavoli ma solo con un lungo bancone e un ricircolo continuo totale di persone ogni 15 minuti circa. Il menù proponeva 8/9 tipi di ramen, ma fondamentalmente la stessa identica zuppa con diversi quantitá (piú alghe, solo carne, niente uova e così via). Per chi non conoscesse il piatto il ramen è una zuppona fatta con il brodo di carne in cui vengono immersi i tagliolini – appunto, i tagliolini- e una quantitá di altri ingredienti (per lo più fettine di carne, germogli di soia, trito d’aglio…). Cambia TANTISSIMO da regione a regione, come sapore, densità ingredienti e soprattutto brodo (al museo del ramen se ne possono provare diversi tipi…fatto!).
Il ramen di questo posto peró è veramente imbattibile. Il sapore è denso e sfaccettato, ad ogni cucchiaiata si sentono leggermente la carne, il miso (il brodo non era chiaro, ma torbido, probabilmente per l’aggiunta di miso o azzardo, latte in polvere), i tagliolini che legano con le sottili rondelle di porro, se poi ci si aggiungono alcuni ingredienti che si possono trovare sul bancone il piatto raggiunge connotati divini. Una crema d’aglio morbida, pezzetti di zenzero rosa e una salsa di verdurine leggermente piccante che rinforza il sapore giá ottimo della zuppa. Una droga. Ho passato tutto il giorno seguente a pensarci (nonostante l’aglio avesse fatto il suo dovere di trasformarmi in un’ammazzavampiri), ed è finito subito nella top five della mia personalissima classifica di “se dovessi scegliere di mangiare una sola cosa nella vita cosa sceglieresti?”. In questo momento direi ramen, ma forse perché non mi ricordo piú che sapore hanno i tortelli d’erbetta ricoperti di parmigiano.