L’unico modo per spiegare la Death Valley è più o meno questo: prendete una pizza surgelata, accentete il forno a 200 gradi e fate scaldare finchè la luce non si spegne. Mettete dentro la pizza e a metà cottura togliete la pizza e inserite la vostra testa nel forno cercando di non fare un barbecue delle vostre orecchie.
Welcome to Death Valley!
Parchi USA
Sveglia puntata alle 5:45 del mattino. Colazione alle 6. Andrea che fa i turni non fa una piega (spesso la sua sveglia è puntata sulle 3 del mattino), gli altri sono leggermente provati. Io tengo botta, anche perchè andando a letto alle 10 sono sempre più di 7 ore di sonno. Litri di caffè per cercare di scongelarci visto che il termometro è fermo sui -15 gradi. Meno quindici. E siamo in New Mexico, mica in Alaska.
Dal bianco della neve al bianco della sabbia… Chiricahua e White Sands
Apro gli occhi e sono giá emozionata. Oggi si torna a white sands e non riesco a capacitarmi che dopo soli 6 mesi sono ancora in uno dei posti più splendidi e stupefacenti in cui ho avuto la fortuna di mettere piede. Le ore di macchina sono tante, il tempo instabile (mettono addirittura neve!) ma oggi non è la strada che conta, è l’obbiettivo finale.
Per non farci mancare nulla, perchè i tempi non sono poi così stretti e dato che è a solo una cinquantina di km da Willcox infiliamo una deviazione ad un altro parco: il Chiricahua National Monument. Zona di strane e cilindriche formazioni rocciose dai vertiginosi equilibri (cilindri più o meno grandi “appoggiati” in maniera quasi scomposta… In pratica come una pila altissima di pancake dal diametro diverso a casaccio uno sull’altro). Nevica. Ecco quello che non mi aspettavo di trovare nel sud degli Stati Uniti: neve!
Sveglia all’alba quando la luna è ancora alta e in giro, ci siamo solo noi. Sto disperatamente cercando di disintossicarmi dal caffè e in queste situazioni è difficilissimo, riempirsi un bicchiere delle dimensioni di un vaso da notte di quella meravigliosa bevanda.. Ok, è chiaro che sono in estrema crisi d’astinenza. Cerco di calmare le mie brame di caffè con un’altra delle mie passioni perverse: gli oatmeal. Per chi non sapesse cosa sono è una specie di muesli da mangiare con il latte caldo. Il risultato è più o meno è come il pastone per il cane ma sa di mela e cannella e quindi a me piace. E poi c’è chi si butta su montagne di uova sode!
Partendo dal presupposto che non amo particolarmente andare sotto terra, un po’ perchè sono paranioca, un po’ perchè sono vagamente ossessionata e terrorizzata dai terremoti e temo che la sfiga colpisca proprio quando là sotto ci sono io e “morire soffocata da montagne di terra” non è proprio nelle prime 10 morti che sceglierei – se si potesse scegliere. A parte questo le caverne sono incredibili, enormi, immense.
La verità è che mi sono messa a piangere. La verità è che la bellezza a volte è un’emozione tanto forte che è difficile da contenere.
Mi sono documentata e non esiste una reazione simile alla sindrome di Stendhal per le bellezze naturali, esiste solo uno strano disordine (Nature Deficit Disorder) ma per le persone che, in mezzo alla natura, non ci riescono a stare.
Eppure dovrebbero coniarlo un termine simile perchè negli States capita spesso di trovarsi davanti a terre sconfinate e paesaggi surreali, meraviglie dalle tinte acquerello che ti fanno sentire dentro un quadro. Cioè, più una cosa impressionista che stile Mary Poppins.
La verità è che a distanza di giorni ancora mi piace ricordare quella sensazione di piedi nella sabbia, quel paesaggio irreale che sembrava più montano che desertico (indistinguibile dalle strade innevate!), come riassaporare un ricordo a 5 sensi, che scatena buone vibrazioni.
Ma partiamo dall’inizio.
Il monumento nazionale (quindi incluso nel pass) è a pochi chilometri dall’inutile cittadina di Alamogordo, conosciuta principalmente per essere stata la cittadina in cui hanno fatto i test pre-Hiroshima e per un pistacchio gigante entrando in città, ma la bellezza del posto merita la deviazione dai principali centri del New Mexico.
E’ come una sinfonia: arrivare al tramonto è come mettersi nelle cuffie Mozart e ascoltare l’orchestra che si allarga, e si fa spazio.
Entrando nel parco si vede un po’ di sabbia bianca qua e là, la strada leggermente sporca. E’ poi si fa neve. la strada sembra ghiacciata e ai lati, tra la vegetazione che cerca di sopravvivere nelle maniere più disparate si vedono queste dune, e poi prosegui e le colline sono più pulite e si scoprono queste dune intonse, completamente bianche su cui rimbalza una luce tenue. Al tramonto le colline bianche prendono una colorazione azzurro dorata, si perde il confine tra cielo e terra e tutto, davvero, sembra un quadro, un’opera d’arte di una mano esperta, una di quelle bellezze universali, un Renoir, che per un motivo o per l’altro, piace a tutti.
La descrizione può sembrare un po’ aulica, ma l’intensità della bellezza di quel posto è realmente fuori dal comune, tende a una perfezione innaturale che va raccontata con parole di critica artistica, anche se, a riguardo, sono una contadinotta ignorante. Ma ho i sensi ipersviluppati.
E la magia di questo posto è fuori dal comune perchè è tutta concentrata sulla vista, in una totale assenza di rumori e odori. Il vuoto sonoro ti rimbalza addosso e hai solo le mani e i piedi da immergere in questa neve asciutta.
Ho pianto di fronte a una bellezza devastante.
Abbiamo conosciuto dei signori 50enni, che si divertivano a bobbare su e giù per le dune, abbiamo provato e io mi sono divertita come una bambina e buttarmi dalla collinetta seduta su un enorme coperchio di plastica. Raccontavano di essersi sposati a Roma “tanti anni fa”, ma poi hanno sorriso, e si sono guardati con uno sguardo complice e felice. SI erano appena trasferiti in New Mexico, e si vedeva lontano chilometri quanto amassero sentirsi vivi.
Sarei rimasta anche di notte, ma ovviamente, quando si tratta di deserti si parla anche di serpenti, e io sono troppo fifona per fare amicizia con loro.
Ma White Sands è bella anche di giorno: si perchè non eravamo sazi da un primo giro e abbiamo voluto vagare per quelle dune ancora un po’…
Curioso, all’inizio dei trail devi compilare un foglio in cui indichi nome cognome numero di telefono e l’orario di inizio: ho sorriso, ma poi sulle dune ho capito. E’ incredibilmente facile perdersi! Il cielo, il bianco violento, è tutto uguale a 360 gradi! Forse è così stare nel Salar de Uyuni che desidero tanto? Su quelle dune, dove ho corso, rotolato, saltato e giocato come se avessi sei anni ci ho pensato poco. White Sands è semisconosciuto e bellissimo…e forse sono contenta così.
COMING SOON…
Allora: prima di scrivere questo post mi é stato detto “per cortesia, cerca di essere non troppo politicamente scorretta a riguardo”, ma visto che non scrivo né per il Corriere della Sera né per L’Osservatore Romano dirò la mia vera impressione sui territori Navajo e in particolar modo sulla gente che li popola. Gran bel posto di cacca. Gran bella gente di cacca.
Premesso che mi sono piuttosto inacidita quando mi sono sentita chiedere QUARANTASEI (si, QUARANTASEI) dollari a persona per andare ad Antelope Canyon. Davanti a un mio “ohh wow”, che poteva essere tradotto con un “porca vacca però quanto è caro!” mi sono sentita rispondere “guarda che é l’orario di punta”anche se mi offriva l’ingresso delle 12:30 quando la luce é giá bella che andata. Volevo urlarle dietro “le cose belle della vita sono tutte gratis o almeno incluse nel pass dei parchi nazionali” ma poi ho lasciato perdere. Lo volevo vedere ma 100 euro in due per una mezz’oretta… Mi sembra davvero una presa per il culo. Andiamo a fare un giretto per una delle cittá piú navajo che si possano trovare, Kayenta, dove ci dirigiamo in un Burger king in cui é allestita una mostra sui wind talkers.
Si, in un Burger King. Ci prendiamo un hamburger già che siamo. Mi viene in mente la storia dei “visi pallidi” perchè è quello che siamo in un fast food solo di indiani (a parte una ragazzina che sembra appena arrivata dalla Norvegia del nord). Il ragazzo a cui chiedo il double wopper mi risponde 3 volte in un inglese incomprensibile, e ai miei “sorry, may you repeat?” si incazza pure un po’ e credo che l’ultima domanda fosse “vuoi una caccola del mio collega oltre ai cetriolini?”. Ho annuito, perplessa.
Riproviamo in un supermercato dove tutte le indicazioni sono in doppia lingua ma gli scones sembrano ottimi. La signora è infastidita e per mettermi 1 scones e due cookie in una bustina ci impiega circa 10 minuti. Tesoro, spero non ci sia mai fila se no si fa notte se aspetto che mediti sui muffin.
Dai, facciamo un giretto per la città con la macchina, ma sembra un campo di giostrai in rovina, caravan camper e roulotte ovunque, le case sono tutte disastrate e costruite con materiali nobili tipo eternit e amianto. Spazzatura qua e lá. Mi é venuta una tristezza…hanno combattuto per i loro territori e i loro diritti, perché non far vedere che ci tenete un pochino? Forse sono solo i Navajo, forse é solo qui. Non mi aspettavo tende e simpatici indiani seduti intorno al fuoco, ma un po’di amor proprio…
Ripenso alle parole di una cara amica che ha vissuto l’esperienza di un vero accampamento indiano nella zona di Havasupai, nel mezzo del nulla (ci si arriva solo con una giornata di cammino o cavallo, oppure elicottero), tra le montagne incantevoli e delle cascate di un azzurro quasi irreale: “foto solo fuori, in mezzo alla natura, perché dove c’erano gli indiani mi vergognavo a farle, c’era troppo sporco!”. Due su due che pensano la stessa cosa, non é una buona media.
Io non faccio cose strane nella natura: lascio stare gli animali (ok, in Giappone abbracciavo i cerbiatti ma… Erano così docili!), non tocco piante strane (a meno che non ci inciampi su) non raccolgo farfalle… Al massimo raccolgo la spazzatura lasciata in giro dagli altri. Ma nel Red Canyon sono davvero impazzita. Adesso spiego.